Il 27 settembre l’Italia ha fatto un passo avanti verso il processo ai quattro funzionari di sicurezza egiziani accusati di aver torturato e ucciso il ricercatore italiano Giulio Regeni nel 2016.
Anche se gli imputati non sono stati formalmente informati delle accuse, dato che il Cairo ha rifiutato di collaborare, la corte costituzionale italiana ha deciso di autorizzare il processo in contumacia ai quattro cittadini egiziani, sette anni dopo l’inizio delle indagini.
Regeni era un dottorando dell’università di Cambridge che stava conducendo una ricerca sui sindacati indipendenti in Egitto. È stato rapito il 25 gennaio 2016 e poi tenuto in isolamento e torturato, hanno ricostruito in seguito gli inquirenti. Regeni è stato infine ucciso e il suo corpo è stato trovato abbandonato sul ciglio di una strada del Cairo il 3 febbraio.
La corte di cassazione di Roma aveva deciso nel luglio 2022 di sospendere il processo per l’impossibilità di notificare le accuse agli imputati, un requisito previsto dalla legge italiana.
La sospensione del processo era quindi legata alla decisione presa dal governo egiziano alla fine del 2020 di non collaborare più con la giustizia italiana, mettendo fine a un’indagine congiunta.
Al momento dell’omicidio di Regeni due degli accusati erano membri dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) e due erano impiegati nelle forze di polizia. Si tratta di Tarek Saber e Magdy Sharif dell’Nsa e dei poliziotti Hesham Helmy e Asser Kamal.
Dei quattro ufficiali, Sharif è quello accusato di aver torturato e ucciso Regeni direttamente.