Il 16 novembre l’esercito israeliano ha portato avanti la sua operazione nell’ospedale Al Shifa, il più grande della Striscia di Gaza, che secondo Israele ospita infrastrutture strategiche di Hamas. Secondo le Nazioni Unite, nell’ospedale ci sono circa 2.300 persone tra pazienti, medici, infermieri e sfollati.
“I bulldozer israeliani hanno parzialmente distrutto l’ingresso meridionale dell’ospedale, vicino al reparto maternità”, ha affermato il ministero della salute di Hamas.
L’esercito israeliano ha affermato di aver trovato “munizioni, armi e attrezzature militari” all’interno dell’ospedale.
“I soldati israeliani non hanno trovato armi o attrezzature militari nell’ospedale Al Shifa”, ha dichiarato invece il ministero della salute di Hamas.
L’Afp non ha potuto verificare queste affermazioni.
La sera del 15 novembre il presidente statunitense Joe Biden, uno dei principali alleati d’Israele, ha invitato l’esercito israeliano ad agire “con estrema cautela” nell’ospedale Al Shifa.
Richiesta di dimissioni
Hamas ha affermato che decine di persone sono morte nella notte tra il 15 e il 16 novembre a causa dei raid aerei israeliani. In particolare, nove civili sono rimasti uccisi nel bombardamento di una stazione di servizio nel campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza.
Secondo le autorità di Hamas, l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ha causato finora la morte di 11.500 persone, tra cui 4.710 bambini. L’attacco senza precedenti di Hamas in territorio israeliano del 7 ottobre ha invece causato circa 1.200 vittime in Israele. Secondo le stime dell’esercito israeliano, il 7 ottobre Hamas ha preso in ostaggio circa 240 persone.
Rompendo il silenzio per la prima volta dall’inizio del conflitto, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto “pause nei combattimenti e corridoi umanitari” nella Striscia di Gaza. Il testo è stato approvato con dodici voti a favore e tre astensioni (Stati Uniti, Regno Unito e Russia).
Intanto, in Israele aumentano le pressioni sul governo riguardo alla questione degli ostaggi in mano ad Hamas. Il 14 novembre un centinaio di familiari ha avviato una marcia di protesta di cinque giorni da Tel Aviv all’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu a Gerusalemme. Sostengono che il premier israeliano non faccia abbastanza per ottenere il rilascio degli ostaggi.
È in corso un negoziato sugli ostaggi con la mediazione del Qatar. Biden si è detto “moderatamente ottimista”.
Il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha chiesto a Netanyahu di dimettersi senza aspettare la fine dell’offensiva militare nella Striscia di Gaza.
“Non possiamo permetterci una lunga campagna militare con un primo ministro che non ha più la fiducia della popolazione”, ha dichiarato all’emittente N12.
Prima consegna di carburante
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), dall’inizio del conflitto 1,65 milioni di abitanti della Striscia di Gaza su un totale di 2,4 milioni sono stati costretti a lasciare le loro case. La maggior parte è fuggita verso sud dalla parte nord del territorio, dove infuriano i combattimenti.
L’assedio totale imposto da Israele alla Striscia di Gaza a partire dal 9 ottobre priva la popolazione di acqua, cibo, medicinali ed elettricità, mentre gli aiuti umanitari arrivano a rilento attraverso il valico di Rafah, al confine con l’Egitto.
Nonostante una prima consegna di circa 23mila litri di carburante, avvenuta il 15 novembre, le Nazioni Unite hanno avvertito che le loro operazioni nella Striscia di Gaza sono “sull’orlo del collasso”.
A causa della mancanza di carburante, che serve ad alimentare i generatori, l’operatore di telecomunicazioni palestinese Paltel ha annunciato il 15 novembre “l’interruzione di tutti i servizi entro poche ore”. “Questo aumenterebbe i pericoli per la popolazione di Gaza”, ha avvertito il 16 novembre l’ong Human rights watch.
Il 15 novembre quasi 650 persone – stranieri, persone con doppia nazionalità e palestinesi feriti – sono state trasferite in Egitto.
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