Nella Storia della danza (1933) dell’etnomusicologo tedesco Curt Sachs c’è un capitolo che descrive quel momento nella storia dell’umanità in cui la danza ha smesso di essere una necessità (rituale, magica o mitopoietica) per diventare quello che oggi chiamiamo uno spettacolo. Kreatur, la produzione della compagnia Sasha Waltz & Guests che apre il 20 settembre il Romaeuropa Festival, sembra muoversi in una zona grigia in cui la danza da pura espressione corporea, da energia vitalistica si trasforma, sotto gli occhi del pubblico, in linguaggio e racconto.
Kreatur prima ancora che uno spettacolo di danza è uno spettacolo di corpi in movimento. L’assenza quasi totale di scenografia sembra già una dichiarazione d’intenti: tutto quello che succede in scena è scandito dai corpi dei danzatori. “Kreatur esamina i fenomeni dell’esistenza umana sullo sfondo di una società in sfacelo: forza e debolezza, dominanza e sottomissione, libertà e controllo, comunione e isolamento”, si legge nelle scarne note che accompagnano uno spettacolo astratto, a volte criptico, che però offre allo spettatore attento più di un indizio.
La scena si apre su un limbo in cui galleggiano figure che potrebbero essere cellule o protozoi. E già a questo livello biologico si sviluppano i primi rapporti di forza: gli organismi s’inglobano tra loro, si muovono in modo a volte casuale e a volte aggressivo. Non vediamo volti: i danzatori sono ricoperti da qualcosa di simile a un agglomerato impalpabile di materia organica. Quella che vediamo è una danza primitiva nel senso antropologico del termine: c’è la maschera che dissolve l’io del danzatore e c’è una sorta di racconto mitico delle origini della vita. I costumi dell’olandese Iris Van Herpen, realizzati con la stampante 3D in materiali leggerissimi e molto sensibili alla luce, sembrano nascere proprio per supplire alla mancanza di scenografia: disegnano direttamente sul corpo nudo dei danzatori corazze, veli, aculei e protuberanze e contribuiscono a definire lo spazio e l’azione.
I movimenti, nel corso dello spettacolo, subiscono un’evoluzione: all’inizio sono ferini, pieni di scatti e di torsioni, poi via via diventano più fluidi, atletici, umani. È come assistere alla nascita e allo sviluppo di un linguaggio, balbettante e farraginoso all’inizio e poi sempre più a fuoco. Questo linguaggio violento tende a impossessarsi della realtà imbrigliandola e dominandola. Anche la musica, dei berlinesi Soundwalk Collective, si evolve insieme ai movimenti dei danzatori: molto astratta e ossessiva all’inizio, diventa più melodica e narrativa nella seconda metà dello spettacolo, fino a sfociare nell’estasi pop del finale.
L’unico elemento propriamente scenografico non occupa il centro della scena ed è una parete bianca con una scala che, a seconda delle luci, può sembrare una piramide maya, uno ziggurat o una quinta metafisica alla de Chirico. È l’unico appiglio fisico per i danzatori e potrebbe rappresentare la civiltà, una civiltà inevitabilmente destinata a crollare. In uno dei momenti più emozionanti dello spettacolo, tutti i danzatori si ammassano su questa struttura architettonica che improvvisamente diventa piccolissima. Sommersi e salvati, vincitori e vinti si attaccano con tutte le forze a qualcosa che non è più in grado di contenerli. I corpi plastici appesi nel vuoto ricordano sia L’incendio di Borgo di Raffaello sia i barconi carichi di migranti. È anche l’unico momento di Kreatur in cui viene usato il video: sul lato opposto del palco vediamo una proiezione di quello che sta succedendo sotto ai nostri occhi, quasi a sottolineare che il crollo della civiltà potremo vederlo in streaming molto prima di quanto crediamo.
In Kreatur ci sono conflitti, guerre, sottomissione e rovina, ma inevitabilmente entrano in scena anche l’amore e il sesso, come vuole la tradizione millenaria della danza cosmica che dopo la morte prevede la rinascita. Ancora una volta la chiave di lettura ce la può offrire l’approccio del vecchio etnomusicologo Sachs: “Per l’uomo, l’istinto sessuale e l’istinto combattivo si differenziano altrettanto poco quanto per il cervo, che combatte il rivale quando è in calore. Ebbrezza di sangue e di amore, questi due impulsi si confondono nella medesima estasi, nella vita come nella danza. E spesso una danza guerriera si trasforma in una danza erotica”.
In scena compare spesso una lunga pertica di legno, un oggetto che fa da filo conduttore di diverse scene: è idolo e pietra filosofale all’inizio, poi si trasforma in arma, strumento di supplizio, totem e feticcio, fino a diventare, sul finale, semplicemente fallo. Sulle note meravigliosamente decontestualizzate di Je t’aime… moi non plus la danza guerresca diventa danza erotica ma anche farsa: con sculacciate, copule en plein air e inseguimenti tra satiri e ninfe. La scandalosa canzone pop di Serge Gainsbourg e Jane Birkin sembra uscire da un juke box sommerso e i movimenti sensuali dei danzatori che, come dice la canzone “vanno e vengono”, ci riportano a una dimensione riproduttiva che chiude, idealmente, un cerchio con l’inizio dello spettacolo, con i protozoi nel loro brodo primordiale.
Kreatur è uno spettacolo denso e impegnativo che meglio di qualunque altro lavoro di Sasha Waltz giustifica quel “& Guests” nel nome della compagnia. La visione è indubbiamente quella di Waltz, ma i mezzi espressivi che usa per realizzarla sono quelli dei suoi ospiti. I costumi di Iris Van Herpen, le luci di Urs Schönebaum, già collaboratore di Bob Wilson, e la musica dei Soundwalk Collective si fondono in maniera unitaria in un lavoro viscerale e immediato la cui complessità può essere elaborata solo con calma, in un secondo momento.
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