L’antropocene è un termine usato nel 2000 dal chimico Paul Jozef Crutzen per indicare l’era geologica in cui viviamo, e con cui si riconosce definitivamente l’impatto dell’essere umano sull’ambiente. Le emissioni di anidride carbonica, la deforestazione, l’estinzione di specie animali, l’innalzamento del livello del mare sono tutte conseguenze di attività umane, concepite inseguendo un modello di sviluppo non sostenibile.
Da più di trent’anni, il fotografo Edward Burtynsky (1955) racconta come gli esseri umani stiano distruggendo il pianeta attraverso l’agricoltura industriale, l’estrazione mineraria e l’uso della plastica. Anthropocene è il suo ultimo progetto, che rappresenta un importante punto di arrivo nella sua ricerca visiva. Realizzato insieme ai registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, è stato concepito come un’esperienza multimediale e immersiva, ed è attualmente in mostra in due musei canadesi: l’Art gallery of Ontario a Toronto (fino al 6 gennaio) e la National gallery of Canada a Ottawa (fino al 24 febbraio). “La fotografia è da sempre un’invenzione mutevole e questo progetto le fa compiere un’ulteriore evoluzione grazie alle tecnologie immersive”, racconta Marc Mayer, direttore della National gallery of Canada. “Con foto spettacolari, video e realtà aumentata vogliamo spingere lo spettatore a riflettere veramente sulle conseguenze del nostro stile di vita sull’ambiente”.
Burtynsky vede la Terra come un artista, ma il suo principale obiettivo è di mostrare e denunciare la sua distruzione. “Siamo la specie che più di tutte ha lasciato un segno indelebile sul pianeta e con il mio lavoro sto cercando soprattutto di informare sui danni che abbiamo provocato”, afferma in un’intervista al British Journal of Photography.
Anthropocene è diventato un libro, e una parte del progetto è esposto anche alla Flowers gallery di Londra fino al 24 novembre.
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