Con la legge sui servizi digitali l’Unione europea ha compiuto un passo storico nella regolamentazione delle grandi aziende tecnologiche. La legge dovrebbe costituire un punto di riferimento per la difesa dei diritti digitali e per il controllo democratico degli algoritmi che determinano in segreto cosa vediamo sui motori di ricerca come Google e sui social network come Facebook, Instagram e Twitter.

In base alle nuove regole europee i giganti della tecnologia potranno essere costretti a modificare gli algoritmi pericolosi per la salute pubblica, i diritti e la democrazia. L’obbligo di bloccare la diffusione di contenuti criminali come pedopornografia e messaggi terroristici sarà reso più rigido. Gli utenti non potranno essere esclusi dai social network senza aver avuto modo di rispondere alle accuse. Inoltre le aziende dovranno valutare l’impatto dei loro algoritmi e pubblicare rapporti annuali su come intendono minimizzare gli effetti negativi. In caso di eventi estremi come guerre e pandemia dovranno presentare resoconti straordinari. Le aziende che non rispettano queste regole rischiano multe fino al 6 per cento del fatturato.

Si può sempre trovare il pelo nell’uovo, ma la cosa fondamentale è che l’Unione europea ha deciso di affrontare le aziende che hanno stravolto le nostre società, nel bene e nel male, e sembra determinata a tenere il passo con gli sviluppi tecnologici. Questa iniziativa dovrebbe essere presa a esempio dai governi nazionali: pensate se anche la pubblica amministrazione fosse tenuta a valutare l’impatto degli algoritmi e dei modelli che si usano sempre più spesso per gestire i servizi. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati