Cristina Rivera Garza viaggia per le strade di Città del Messico, nei tunnel in cui passano i vagoni della metropolitana e ricorda il mitologico Quetzalcóatl, il serpente piumato che aveva il compito di ricreare la specie umana. Per riuscirci, il dio azteco scese nel sottosuolo e recuperò le ossa di uomini e donne morti in epoche passate; ma Quetzalcóatl non conosceva le vie del Mictlan e dovette chiedere aiuto a migliaia di formiche che lo guidarono attraverso passaggi oscuri fino ai resti umani. Una volta trovate le tombe, le formiche lo aiutarono a trasportare una a una le ossa necessarie per ricreare l’umanità. Cristina Rivera Garza, come quelle formiche, setaccia gli uffici giudiziari alla ricerca del fascicolo su sua sorella; cerca, tra gli amici e i conoscenti di Liliana, una testimonianza che permetta di ricostruire la storia della sua vita e della sua morte; vuole giustizia. L’autrice è alla ricerca del modo giusto per fare il resoconto di un femminicidio, una degna narrazione della vicenda di Liliana Rivera Garza. Il libro pone quindi una domanda fondamentale: come raccontare il dolore delle vittime? Come rappresentare la loro sofferenza in modo che la storia non aggiunga altro male a quello già inflitto? Come costruire un testo che non prenda le parti del colpevole, non in termini morali – questo non è in discussione – ma in termini estetici? Si tratta di elaborare uno sguardo che non utilizzi la violenza, i corpi sofferenti delle donne, per dare al lettore un’emozione che lo spinga a continuare a leggere. L’invincibile estate di Liliana cerca di riportare in superficie la presenza della sorella, ma è anche la testimonianza tangibile della sua incontestabile assenza. È un tentativo di invertire l’opera della morte, il cammino delle formiche che porta indietro le ossa dal Mictlan per dar vita a una nuova umanità, una in cui le donne non muoiano in grande numero per mano dei loro ex partner o dei loro parenti, una in cui tutti possiamo vedere i pericoli che ci attendono, una in cui la giustizia agisca in modo preventivo. Nessuna morte è utile, ma forse questa testimonianza collettiva lo è.
Catalina Navas, El Tiempo
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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati