Tutti parlano di loro, ma parlare con loro è molto difficile. Per avviare una discussione con i giovani che hanno partecipato alle rivolte degli ultimi giorni in Francia bisogna mostrare le proprie credenziali, accettare un rifiuto più o meno gentile e accontentarsi quasi sempre di poche parole. Finché non capita l’occasione: un giovane che si avvicina chiedendo di agganciarsi alla nostra connessione internet per pubblicare su Snapchat un video del viale Pablo Picasso a Nanterre, pieno di carcasse di auto bruciate dopo la seconda notte di disordini.
Insieme ad altri due adolescenti di 14 anni che abitano anche loro nelle torri Aillaud di Nanterre, alla periferia di Parigi, il ragazzo riassume la serata appena trascorsa. “È un casino qui, peggio del 2005”. Questi ragazzi sono troppo giovani per aver vissuto i disordini scoppiati quell’anno dopo la morte di due adolescenti che fuggivano dalla polizia a Clichy-sous-Bois, ma li hanno ben presenti, così come il nome di Nahel M., 17 anni, ucciso da un poliziotto durante un controllo stradale il 27 giugno. “Uno sbirro figlio di puttana ha strappato alla madre di Nahel il suo unico figlio. Non possiamo accettarlo. Stasera tiriamo fuori i mortai”, spiegano i ragazzi prima di sparire tra le vie del quartiere.
È difficile tracciare un profilo dei ribelli notturni. Sono giovani, parlano poco, alcuni hanno appena dodici o tredici anni. Solo qualcuno supera la trentina. Il loro percorso e le loro motivazioni emergono piuttosto dalle parole di chi gli sta vicino: “Tra loro c’è di tutto. Alcuni lavorano, sono inseriti, ma subiscono discriminazioni e hanno deciso di reagire. Poi ci sono quelli che fanno già parte dei circuiti della criminalità più o meno grande”, dice un responsabile del comune di Nanterre. La maggior parte sembra aver abbandonato la scuola e vive una situazione familiare fragile, a cui si aggiunge la precarietà dei quartieri popolari.
Ad Aubervilliers, appena fuori Parigi, il commissariato di polizia è stato attaccato a colpi di fuochi d’artificio. “Alcuni sono stati miei allievi”, racconta un’insegnante di una scuola media locale. Hanno tra 18 e 21 anni, “di base non sono giovani violenti”, ma piuttosto quel tipo di ragazzi che “vanno in giro per la città ascoltando musica”. Hanno cominciato a lavorare o cercano un impiego. “Pensano che Nahel avrebbe potuto essere un loro amico. Odiano la polizia violenta. Per loro questo è il modo migliore di farsi sentire. Dicono che le manifestazioni non servono a niente, bisogna spaccare tutto”, spiega l’insegnante.
Nessun dialogo
Chiraz (le persone citate solo con il nome proprio hanno chiesto di mantenere l’anonimato) ricorda il suo incontro con questi ragazzi nella notte tra il 27 e il 28 giugno. Dalla finestra di casa, al quindicesimo piano di una della torri Alliaud, ha visto la sua auto in fiamme. Ha cercato di salvare alcuni oggetti dal rogo, ma è stata fermata sul portone da alcuni adolescenti vestiti di nero. “Erano furiosi. Ho toccato uno di loro sulle spalle, era molto agitato. Non voleva sentire ragioni. Mi ha detto solo ‘signora, torni a casa’”. Chiraz è andata via da Nanterre per qualche giorno portando con sé la madre. “Sono fomentati dall’effetto di gruppo”, conferma Hamadi Najar, capo dei mediatori di Nanterre. “Non è stato possibile avviare alcun dialogo”.
Le scene di violenza si sono moltiplicate in tutta la Francia. I quartieri del Mas du Taureau, a Vaulx-en-Velin, e di Minguettes, a Vénissieux, simbolo delle rivolte a Lione, hanno preso fuoco tra un diluvio di razzi e attacchi ai cordoni di polizia. Anche lì i partecipanti sono giovanissimi, con il volto coperto, che si lanciano negli scontri scagliando pietre o reggendo fuochi d’artifico come fossero spade infuocate. Rabbia, rivolta, delinquenza. Tutto si mischia in un cocktail esplosivo.
La situazione è ancora più pericolosa perché i ragazzi sembrano fuori controllo, tagliati fuori dalle reti degli adulti. “Non sono sui nostri radar”, conferma Rachid, che lavora per il centro sociale del quartiere dei Phalempins, a Tourcoing, nel nord della Francia. “È una generazione segnata dalla pandemia, con cui abbiamo pochissimi contatti. I tentativi di mediazione non servono a niente”.
Emilie, insegnante di una scuola primaria privata di Roubaix, al confine con il Belgio, va al lavoro ogni giorno con un nodo allo stomaco chiedendosi cosa l’aspetta: “Ci sono ragazzi di dodici anni che si comportano come criminali. Non riusciamo più a contenerli. Sono infervorati da quello che vedono e sentono, e vogliono partecipare”.
La stessa situazione si ritrova a Marsiglia. Nouria Nehari, imprenditrice cresciuta nei quartieri popolari, è andata in centro per “parlare con i ragazzi” e cercare di farli ragionare. Ma non è servito: “Non vogliono ascoltarci e li capisco. Vivono nel disinteresse totale per i loro quartieri, sentono di non essere considerati cittadini francesi, e ora hanno visto che la polizia ha ammazzato uno di loro”.
Zohra Boukenouche, educatrice con decenni di esperienza nei quartieri più difficili di Marsiglia, è d’accordo. Racconta di aver provato a dialogare con alcuni ragazzi che stavano saccheggiando un bar-tabaccheria nel quartiere di Noailles: “Gli abbiamo spiegato che il padrone è un lavoratore come i loro genitori, che avrebbe perso tutto. Ma se ne fregano di quello che gli diciamo. Sono in rivolta”.
Oltre che per la loro età e le loro motivazioni, i ragazzi impressionano anche per la loro capacità di mobilitarsi e mettere in atto strategie quasi militari. È il risultato di una generazione nutrita dai social network, capace di usare Snapchat o Telegram per darsi appuntamento, condividere in tempo reale gli eventi e alimentare una sorta di competizione tra quartieri per chi farà più “stronzate” da mostrare poi nei video. Vedono le cose attraverso questo prisma, e per gli adulti è ancora più difficile capirli.
Troppo veloci
Elie, 25 anni, residente nelle torri Aillaud, racconta di aver sentito un adolescente del quartiere affermare che “i politici non possono più dire che non ci capiscono. I nostri video fanno trecentomila retweet”. “Sono chiaramente più avanti rispetto a noi. Vanno troppo veloce”, ammette Armel Mombouli, presidente di Vox populi, un’associazione che favorisce l’inserimento e l’istruzione nei quartieri popolari. Mombouli, originario di Clichy-sous-Bois, pensa che i ragazzi siano diventati più duri dopo anni di risse tra bande. “Dato che queste cose succedevano nei quartieri poveri, nessuno se ne interessava”, accusa. “Ma i giovani hanno cominciato a capire che possono creare una rete, e ora si sentono onnipotenti”.
I gruppi si mescolano e le provenienze diventano sempre più difficili da stabilire. A Nanterre sembra che i protagonisti delle rivolte degli ultimi giorni non siano i ragazzi del quartiere, ma giovani arrivati da altre città insieme a gruppi di estrema sinistra che non conoscevano. “Nella mia torre tre o quattro ragazzi sono venuti a chiedermi un po’ d’acqua. Erano pieni di tatuaggi. Non era gente di qui”, racconta una madre di tre figli.
Stessa cosa a Roubaix, dove i residenti hanno preso le distanze dai rivoltosi. “Non sono solo quelli del posto a fare casino. È gente che viene dai piccoli centri della provincia come Roncq o Hem. E poi si sposta altrove”, conferma Karim, proprietario del fast food Smash. I ragazzi hanno divelto la saracinesca del suo locale e hanno spaccato la vetrina.
Davvero i vandali venivano da fuori? Comunque sia, nei quartieri si tende ormai a fare distinzione tra “noi” e “loro”. Il che rende ancora più confuso il ritratto di questa generazione ribelle.◆as
◆ Il 27 giugno 2023 Nahel M., un diciassettenne di origini algerine, è stato ucciso da un poliziotto durante un controllo stradale a Nanterre, alla periferia ovest di Parigi. Secondo la polizia l’agente avrebbe sparato dopo che il ragazzo aveva cercato di investirlo con la sua auto, ma un video pubblicato su internet ha smentito questa versione, mostrando Nahel che viene colpito mentre cerca di allontanarsi. Il poliziotto è indagato per omicidio preterintenzionale.
◆ La sera del 27 giugno a Nanterre sono scoppiate delle violente proteste, che si sono estese al resto dei sobborghi della capitale e poi ad altri quartieri poveri e abitati prevalentemente da persone di origine straniera nel resto del paese. Il governo ha reagito mandando nelle strade 40mila agenti supplementari. Dopo sei notti di scontri e atti di vandalismo, i disordini sono terminati il 3 luglio. Il bilancio è di centinaia di feriti e più di tremila arresti. A Marsiglia un uomo di 27 anni è morto per arresto cardiaco dopo essere stato colpito al petto da una flash ball, un tipo di proiettile di gomma usato dalla polizia francese. Afp
Gli autori di questo articolo sono Juliette Bénézit, Alexandre Lenoir, Robin Richardot, Gilles Rof, Richard Schittly e Florence Traullé.
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Questo articolo è uscito sul numero 1519 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati