Resta poco tempo per evitare che Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, si trasformi in un inferno. In questa città vicina alla frontiera con l’Egitto è ammassato più di un milione di rifugiati. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che usa la guerra per restare aggrappato al potere, ha promesso per Rafah le stesse devastazioni che hanno trasformato un territorio povero e sovrappopolato in una distesa di rovine.
Non gli importa l’orribile bilancio umano (quasi 30mila morti) del rullo compressore israeliano azionato per tentare di cancellare Hamas, responsabile dei massacri del 7 ottobre contro i civili israeliani. La caccia ad Hamas ha preso il sopravvento sulla liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza. L’alternativa per ottenere la loro liberazione – il negoziato che a novembre ha mostrato di funzionare – è in stallo.
Gli alleati dello stato ebraico si oppongono a prolungare la carneficina, ma con una timidezza che rischia di compromettere il credito morale di cui si vantano. Difficile trovare coerenza nell’azione di Washington, che mentre condanna l’eccessivo numero di vittime tra i palestinesi assicura all’esercito israeliano i mezzi per radere al suolo Gaza. Più passa il tempo e più il calcolo del presidente Joe Biden – lasciar fare Israele per poi avviare una vasta iniziativa diplomatica – si perde tra le macerie. In primo luogo perché i danni subiti da Hamas sono impossibili da valutare, considerata la natura dell’organizzazione. Poi perché la strategia israeliana di ostacolare gli aiuti umanitari fa già capire quale incubo sarà la ricostruzione. Infine, perché l’opposizione a ogni soluzione politica, e ovviamente a uno stato palestinese, costituisce la base della coalizione di governo israeliana e la garanzia che continuerà a seguire una strategia cieca, già screditata dai fatti del 7 ottobre.
La guerra parallela in corso in Cisgiordania lo ricorda ogni giorno. Le poche sanzioni decise negli Stati Uniti o in Europa contro alcuni coloni israeliani violenti non devono trarre in inganno perché i loro ispiratori suprematisti, che coltivano progetti di annessione e pulizia etnica, siedono comunque nel governo israeliano.
Rafah può diventare il duplice simbolo del fallimento occidentale e della tragica deriva di Israele. L’unico modo per sradicare davvero Hamas è tracciare un orizzonte politico. Frastornato dalla sua stessa superpotenza militare, lo stato ebraico si accontenta di rispondere ai crimini di guerra del 7 ottobre con altri crimini di guerra, di cui non si vede la fine. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati