A nove anni dal suo primo film, Les combattants, Thomas Cailley firma un’opera ad alto budget che, contrariamente alla media dei blockbuster francesi, è capace di stimolare riflessioni molto profonde. In The animal kingdom si parla di mutazione, ibridazione e interregno. L’umanità fa parte di questo regno? E quanto è disposta a ricordarselo? Come se si trattasse di una specie di pandemia, alcuni esseri umani si trasformano in ibridi di altri animali. Émile (Paul Kircher), sedici anni, si trasferisce al sud con il padre (Romain Duris) per seguire la madre, una delle “creature”, trasferita in un centro d’internamento. Mentre lei e altri mutanti riescono a fuggire nella foresta, Émile comincia a sentire il suo corpo che cambia. Il film esplora un mondo parallelo, ma la società che descrive è perpendicolare alla Francia di oggi, ne riconosciamo la risposta alla crisi. Rinchiudiamo quindi le “creature”, le temiamo, le nascondiamo, le studiamo. Del resto chiedersi seriamente “cosa accadrebbe se…”, come fa il film, significa guardare quello che succede davvero. Forse le creature non arrivano a rappresentare o simboleggiare altre figure oppresse, precise e identificabili. Eppure i concetti di minoranza, emergenza, differenza, e la risposta fascista standard a questi, seguono schemi pratici e identificabili. E Cailley li usa nel suo film considerando tutto dal punto di vista emotivo.
Luc Chessel, Libération

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Questo articolo è uscito sul numero 1567 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati