A Jean-Luc Mélenchon non è riuscito il miracolo. Nonostante la rimonta delle ultime settimane, il candidato della France insoumise (Lfi) non ce l’ha fatta ad arrivare al secondo turno delle elezioni presidenziali. Dopo essersi piazzato quarto nel 2012 (11,1 per cento dei voti) e nel 2017 (19,5 per cento), stavolta è arrivato terzo con il 21,9 per cento.
Dopo l’annuncio del risultato, Mélenchon ha invitato i suoi elettori a “non commettere l’irreparabile” al secondo turno: “Non dobbiamo dare un solo voto a Marine Le Pen”, ha esclamato. “L’avevo detto anche cinque anni fa, e vi sembra che ci sia stato qualche disastro dopo quella dichiarazione? I francesi sanno cosa fare. Sono in grado di decidere cosa è meglio per il paese”, ha affermato, rievocando la sua decisione di non invitare chiaramente a votare per Macron al secondo turno del 2017, una scelta che aveva provocato forti polemiche. In un discorso agguerrito, Mélenchon ha ammesso che la delusione è stata forte, ma ha rivendicato il buon lavoro svolto: “Il polo popolare esiste! Se non ci fossimo, non avremmo niente. Invece abbiamo costruito questa forza. La lotta va avanti”, ha detto ai suoi sostenitori.
Ma è stato un duro colpo per questo politico di settant’anni, che credeva fermamente di poter sovvertire i pronostici e già pregustava l’idea di affrontare Macron nel dibattito televisivo tra il primo e il secondo turno. Faceva affidamento sul “voto utile” degli elettori di sinistra, di chi non voleva una nuova sfida tra Macron e Marine Le Pen, e sulla mobilitazione delle fasce popolari, il cui tasso d’astensione è sempre piuttosto alto. Per questo in campagna elettorale aveva proposto misure sociali come il pensionamento a sessant’anni, l’aumento del salario minimo a 1.400 euro e l’introduzione di un reddito per gli studenti.
I limiti restano
Come nel 2017, Mélenchon era riuscito gradualmente a imporsi sui suoi rivali a sinistra, per poi superare nei sondaggi il candidato d’estrema destra Éric Zemmour e la conservatrice moderata Valérie Pécresse. Tutto questo nonostante la candidatura di Fabien Roussel del Partito comunista francese, che nelle occasioni precedenti si era schierato con Mélenchon. La concorrenza dell’ex alleato gli ha sottratto voti preziosi nella corsa al secondo turno.
Il bilancio di Mélenchon è quindi piuttosto paradossale. Se è vero che si è nuovamente imposto come la migliore possibilità per la sinistra di raggiungere il secondo turno, questa nuova sconfitta mette in luce i suoi limiti. La sua personalità e alcune sue posizioni continuano ad allontanare parte della sinistra moderata e impediscono l’allargamento della sua base elettorale. Anche per questo il suo futuro sembra incerto. Per avere delle risposte bisogna aspettare di vedere se deciderà di candidarsi alle elezioni legislative di giugno nel collegio di Marsiglia, dove è stato eletto nel 2017. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati