“Field recordings registrati nell’area urbana di Napoli dal 2013 al 2022”: così si legge nella cartella stampa che accompagna Lustra del compositore e sound artist Renato Fiorito, ma il disco deve avere origini multiple e più antiche, e rivela una durata che esonda dalle registrazioni materiali, soprattutto per via della sua rarefazione dilatata.
Un punto di origine di Lustra, uscito per l’etichetta Non sempre nuoce, è il romanzo La fontana rotta di Thomas Belmonte, uscito nel 1979 negli Stati Uniti e recentemente ripreso da Einaudi, in cui un antropologo statunitense arriva a Napoli. Parla poco italiano e niente dialetto, si sente “geograficamente smarrito” in un luogo impenetrabile, così decide di raccontarlo in due riprese.
Al di là dei meriti etnografici del testo, è interessante il tentativo di ambientazione parallelo di Fiorito, che a differenza di Belmonte a Napoli è cresciuto e ci vive, ma dimostra che spaesamento, invenzione e ritorno fanno parte del bagaglio espressivo di chiunque vada in visita in un posto molto percorso o solo sognato. Ci sono tracce della cultura materiale ed espressiva di una città nel racconto atmosferico di Fiorito (Ex voto, Collera, che riprende la percussione delle marmitte contraffatte per aumentare l’impatto dei motorini).
In generale c’è un senso di livido sgualcimento che riflette bene una matrice più o meno nascosta della città e che genera un vincolo di appartenenza anche in chi non l’ha mai attraversata, se non per pochi istanti. Per questo motivo, più che sulla luce, Lustra è un disco fatto di bassi e aperture improvvise. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati