Capita di usare gli stessi riferimenti per descrivere fenomeni culturali o situazioni distanti tra loro, quando un’immagine ci ricorre in testa. Di fronte all’eliminazione dell’Italia dai campionati europei di calcio, mi è riapparsa la serie Succession e un personaggio in particolare: il cugino Greg. Un arrampicatore sociale goffo, inopportuno e cinico, con il carisma naturale di un merluzzo, che alla fine riesce ad affermarsi. La nazionale italiana invece è stata eliminata, ma ha trasmesso la stessa sensazione viscida e rosicona del personaggio della serie televisiva. Tedua non somiglia affatto al cugino Greg, e perfino nelle sue canzoni meno ispirate riesco a sentire una vibrazione che lo distingue dagli altri artisti urban e trap grazie alla sua ossessività per il prodotto fatto bene, ma con delle sgrammaticature emotive che sono ancora oggi la sua fragilità e la sua conquista.

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Eppure leggendo un paio di interviste e dichiarazioni a ridosso dell’uscita di Paradiso, estensione del suo progetto La divina commedia, mi è venuta in mente l’intervista di Jeremy Strong al New York Times in cui il protagonista di Succession delirava sulla tecnica di recitazione del method acting e sugli estremi a cui era disposto ad arrivare pur di essere percepito in maniera sincera. Fatte le dovute proporzioni, pare che Tedua sia un po’ in preda allo stesso loop, in un eccesso di isterica coscienza che ostacola un rapporto intimo con le canzoni nuove, a prescindere dal loro essere commerciali. Tra gli sbrodolamenti emo di Drake e l’onnipotenza sgonfia di Kanye, tocca immaginarsi una nuova via. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati