Durante un’intervista, un giornalista polacco mi ha detto che se pensa alla parola wolność (libertà) nella sua lingua madre vede subito un pugno in alto, una manifestazione per strada, un urlo di rabbia, mentre se usa la parola freedom pensa solo a viaggiare e a fare le quattro del mattino. In letteratura esistono casi esemplari di selezione di un’altra lingua per veicolare dei significati meno ovvi rispetto a quelli offerti dalla propria lingua principale, basta leggere il lavoro di Jhumpa Lahiri da anni a questa parte. Ora nelle playlist del venerdì sera si sente imperversare un trio francese, Dov’è Liana, che ha scelto di scrivere i propri testi in italiano, senza rinunciare al francese e all’inglese dove necessario.
Diventati popolari con il singolo Perché piangi Palermo quattro anni fa, ora presentano un disco (lungo, probabilmente pensato per durare per una festa intera) intitolato Love 679, dove mettono a punto la loro formula basata sulle regole elementari del french touch e dell’italo disco. Ma la cosa più interessante è questa lingua terza per il trio di stanza a Parigi, che si esibisce con gli occhiali da sole e i foulard in testa di chi viaggia in cabriolet, una scelta derivata da una vacanza a Palermo che descrivono in termini ormai mitologici e gli ha permesso di produrre un suono “scollacciato” di cui effettivamente si sentiva un po’ la mancanza: un brano come Tutte le donne, con la sua ripetitività kitsch e l’assenza di strutture sonore complicate, spinge compulsivamente a ballare. Ben venga allora lo stereotipo sul caos gioioso e notturno di certe città italiane. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1586 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati