“Conosco almeno dieci persone, forse venti, che sono state costrette a scappare dalle fiamme”. All’inizio di giugno del 2021 ho parlato con il climatologo Daniel Swain, cresciuto in California e diventato, nel corso delle devastanti stagioni degli incendi, il più importante divulgatore scientifico sul clima, i disastri e i rischi legati ai roghi. “Fino a sei o sette anni fa non mi era mai capitato. Il fatto che tutti conoscano qualcuno che si è ritrovato a fuggire da muri di fuoco, anche più di una volta e in diverse aree dello stato, è impressionante”.

Oggi, mentre le immagini dei cieli arancioni e del buio a mezzogiorno si confondono con quelle surreali della pandemia, è difficile ricordare che nel 2020 la California ha vissuto, in termini di superficie bruciata dalle fiamme, l’anno peggiore della sua storia moderna. Il record precedente era stato stabilito appena due anni prima, quando l’incendio boschivo Camp fire aveva incenerito la città di Paradise e in tutta la California erano bruciati circa ottomila chilometri quadrati. I libri scritti per raccontare quell’annata devastante stanno uscendo adesso, ma nel frattempo il Camp fire è diventato solo un piccolo evento di una tendenza più ampia. Nel 2020 i danni causati dagli incendi sono raddoppiati rispetto al 2018, tanto che è stato coniato un nuovo termine, gigafire, per descrivere un incendio capace di bruciare più di quattromila chilometri quadrati. Il dieci per cento delle sequoie giganti del mondo è andato perduto tra le fiamme, anche se la specie si è evoluta proprio per sopportare il fuoco (ma non in condizioni intense come quelle attuali). Nel 2020 quasi 18mila chilometri quadrati sono stati carbonizzati (circa il 4 per cento della superficie dello stato), producendo tanto fumo che nell’ovest degli Stati Uniti l’inquinamento atmosferico derivato dagli incendi è stato maggiore di quello causato da tutte le altre attività umane e industriali messe insieme.

Il fuoco non è facilmente prevedibile, perché dipende sia da condizioni di base (umidità del terreno e quantità di vegetazione secca, spesso chiamata “carburante”) sia da una serie di fattori casuali (evoluzioni del vento e “ignizioni” umane e naturali). Ma ci sono elementi per pensare che il 2021 sarà un’annata disastrosa. Nell’ovest degli Stati Uniti la diffusione della siccità “estrema” è la più alta degli ultimi vent’anni. E gran parte dell’ovest e del sudovest è entrata nella categoria di siccità “eccezionale”, ancora più grave. A metà giugno sulla regione si è abbattuta un’ondata di caldo record, con temperature allarmanti per più di cinquanta milioni di persone. A Phoenix si è arrivati a 47 gradi, mentre nella Death valley il termometro potrebbe arrivare a 53 gradi.

Nella primavera appena trascorsa le fiamme hanno distrutto una superficie doppia rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando la California si avviava a doppiare il record precedente. Ipotizzando una quantità di ignizioni casuali equivalente a quella del 2020, avremmo una stagione degli incendi che non solo sarebbe la peggiore di sempre ma potrebbe diventare qualcosa di ancor più spaventoso. Se dovessimo essere relativamente fortunati, con meno ignizioni del solito, avremmo comunque una stagione degli incendi che solo un decennio fa sarebbe rimasta impressa nella memoria della popolazione. È presumibile che un reale sollievo dagli incendi arriverà solo alla fine dell’autunno, perché le piogge tardano sempre di più ad arrivare. Molti californiani si limitano a una triste speranza: che i roghi, inevitabili, brucino in altre zone dello stato rispetto a quella in cui vivono.

Vortice in Colorado

“In passato per la maggior parte dei californiani gli incendi erano associati al notiziario della sera, in cui un elicottero riprendeva in diretta le fiamme sulle alture sopra Los Angeles”, sottolinea Swain. “Al massimo qualcuno notava un pennacchio di fumo in lontananza durante l’estate. Poi all’improvviso, nell’ultimo decennio, c’è stato un cambiamento drammatico. E la maggioranza delle persone in California ne ha avuto esperienza diretta: tempeste di fumo, inquinamento atmosferico estremo, scuole chiuse e niente lavoro tranne che per i contadini, costretti a scendere nei campi. Il cielo diventava nero e nessuno poteva uscire di casa. È spaventoso, e stiamo parlando dello scenario migliore”.

Un amico mi dice che nessuna compagnia vuole assicurare la sua proprietà

Nel 2020 c’è stato un ulteriore cambiamento. Quando vogliono far capire l’importanza dei roghi “controllati” per “assottigliare” uno strato eccessivamente spesso di “carburante”, gli ecologisti spiegano che il numero di chilometri quadrati bruciati non è di per sé un indicatore della gravità di un incendio per gli esseri umani. Il Camp fire ha carbonizzato 600 chilometri quadrati, distruggendo 18mila strutture e uccidendo 85 persone. Nel 2020 l’incendio August complex ha bruciato quattromila chilometri quadrati, devastando novanta strutture e uccidendo solo una persona. Le foreste sono particolarmente esposte agli incendi perché le politiche di soppressione dei roghi attuate nell’ultimo secolo hanno fatto accumulare un’enorme quantità di carburante, e oggi forse 80mila chilometri quadrati di vegetazione dovrebbero bruciare per ripristinare un equilibrio. Ma la superficie incendiata è comunque indicativa della traiettoria climatica che governa la vita delle foreste della California. Entro il 2050 i chilometri quadrati bruciati saranno almeno il doppio rispetto a oggi (più probabilmente sei volte di più). In teoria una politica statale migliore (alloggi più sicuri, gestione delle foreste, roghi controllati) renderebbe i grandi incendi meno distruttivi. Il problema, però, è che gli incendi, oltre a essere più vasti, sono anche molto più intensi, e producono tempeste di fulmini e tornado di fuoco. Un tempo bruciavano al massimo a 920 gradi. Oggi, mi ha spiegato Angie Lottes di Cal Fire, il dipartimento forestale della California, bruciano a 1.150 gradi, una temperatura sufficiente a trasformare il silice nel terreno in vetro e bruciare attraverso il sistema di radici delle foreste. Swain non vive più in California. Si è trasferito a Boulder, in Colorado. Anche se la costa occidentale domina l’incubo americano degli incendi, la regione dei fuochi è incredibilmente vasta. In un certo senso, spiega Swain, il 2020 del Colorado è stato ancora più straordinario di quello della California se si considerano le dimensioni, l’intensità e il comportamento delle fiamme. “Un giorno ho visto un pennacchio di fumo in lontananza e mi sono avvicinato per dare un’occhiata. Mi sono trovato davanti un enorme vortice di fuoco che scendeva dai pendii orientali del Front Range a nord di Boulder, distruggendo delle aree residenziali”.

Trenta chilometri a notte

Swain parla di californizzazione del Colorado. “Uno degli incendi ha superato la Continental Divide, lo spartiacque che divide il bacino idrografico dei fiumi che finiscono nell’oceano Atlantico da quello dei fiumi che finiscono nel Pacifico. In alcune aree della Divide ci sono quattro chilometri di granito senza vegetazione. È considerata la seconda fascia tagliafuoco dell’occidente dopo l’oceano Pacifico. Ma l’incendio l’ha saltata. È stato sconvolgente”.

In California più della metà dei progetti residenziali avviati dopo il 1990 è stata realizzata in zone ad alto rischio. In un recente sondaggio si chiedeva agli abitanti del Colorado d’indovinare quale fosse il pericolo d’incendi nella loro area. Il settanta per cento ha risposto “basso rischio” o “moderato”. In realtà l’80 per cento degli intervistati viveva in zone a rischio “alto”, “molto alto” o “estremo”. Conosco un economista specializzato nell’impatto climatico che nel 2021 ha deciso di lasciare la zona di San Francisco durante la stagione degli incendi per trasferirsi in Colorado, perché ha un bambino affetto da asma. Quando gli ho fatto notare che anche in Colorado c’erano incendi o fumo, si è messo a ridere. “Lo so. Ma in quel momento il Colorado non stava bruciando. È tutto così assurdo”.

Swain mi ha spiegato che in Colorado “alcuni incendi bruciano venti o addirittura trenta chilometri in una notte, come in California negli ultimi anni. Quando succede gli amministratori pensano: ‘Ce ne occuperemo domani, non c’è bisogno di evacuare la città nel bel mezzo della notte’. Ma il tempo non c’è”.

Nel 2019 sono andato in California per scrivere un articolo. Volevo raccontare sia quello che sarebbe potuto succedere in futuro sia l’impulso a normalizzare il problema degli incendi. Tanti dei proprietari di case con cui ho parlato mi hanno detto che la California ha sempre convissuto con le fiamme. Pur ammettendo che la situazione stava peggiorando, non sembravano in grado di vedere cosa li aspettava. Alcune persone ammettevano di provare una certa eccitazione davanti al colore apocalittico che il disastro naturale conferiva alle loro vite e ai loro cieli. Altre erano convinte che il problema potesse essere arginato rimuovendo un po’ di vegetazione dalle proprietà, adottando politiche abitative migliori e gestendo le foreste in modo più efficace, tutte cose che aiutano ma fino a un certo punto.

Ma ho parlato anche con il sindaco di Los Angeles, Eric Garcetti. Nel suo anno di nascita, il 1971, gli incendi bruciarono 240 chilometri quadrati di terreno in California. Nel 2013, quando è stato eletto sindaco la prima volta, i chilometri bruciati dalle fiamme sono stati 2.500. Nel 2017, l’anno in cui è stato rieletto, si è arrivati a cinquemila. Nel 2018 a 7.700. “Non c’è un numero sufficiente di elicotteri o camion da comprare, di pompieri da assumere o di chilometri quadrati di vegetazione da rimuovere che possa fermare tutto questo”, ha ammesso Garcetti nel 2019. “La cosa si arresterà solo quando la Terra, probabilmente molto tempo dopo la nostra scomparsa, si rilasserà in uno stato climatico più prevedibile”.

Qualcosa cambia

Poi è arrivato il 2020 e, con mia grande sorpresa, in California è emersa una nuova consapevolezza, causata non tanto dalla devastazione degli incendi ma dall’inesorabile disastro legato al fumo. All’inizio, quando si è cominciato a sopprimere sistematicamente gli incendi, i californiani avevano paura soprattutto dei terremoti. Poi per un decennio o due segnati dagli incendi legati al clima, hanno avuto paura delle fiamme fuori controllo. Gli incendi degli ultimi cinque anni hanno ucciso più persone nello stato di qualsiasi terremoto dal 1906, anche se il numero totale di decessi e strutture distrutte può sembrare comunque ridotto in uno stato popolato da quaranta milioni di persone. Ma l’opprimente e inevitabile orrore dell’aria, in termini sia estetici sia sanitari, ha cambiato la consapevolezza che i californiani hanno del loro futuro. Una cosa è vedere Malibu in fiamme, un’altra è respirarne la cenere. Una cosa è leggere le notizie sulle vigne in fiamme, un’altra è vedere il fumo oscurare il sole in una città che crede di poter plasmare il destino dell’umanità. La domanda ora è se questa nuova consapevolezza durerà, e se trasformerà alcuni aspetti della vita nello stato. Da una parte viene da pensare di sì, dall’altra c’è il timore che il cambiamento sarà solo temporaneo. Ma l’impatto dell’aria irrespirabile è effettivamente spaventoso, e dovrebbe bastare a spingere chiunque a voler cambiare la situazione. A livello nazionale 350mila persone muoiono ogni anno per gli effetti dell’inquinamento atmosferico, più o meno le stesse uccise dal covid-19 nel 2020.

“Penso che sia in corso un cambiamento culturale”, mi dice Swain. Gli chiedo perché. “Quando parli con i pompieri con venti o trent’anni di esperienza, tutti dicono: ‘Ogni incendio che affrontiamo oggi sarebbe stato il peggiore di tutta una carriera una generazione fa’. Non c’è solo il cambiamento climatico, è ovvio che la situazione attuale ha anche altre cause, a cominciare dalla politica della soppressione totale degli incendi nelle foreste. Ma il cambiamento climatico ha un impatto enorme: lo dimostra il fatto che la situazione è peggiorata quando il surriscaldamento globale ha subìto un’accelerata. Non è una coincidenza, chiunque può rendersene conto. È per questo che le telefonate che ricevo sugli incendi sono cambiate molto negli ultimi due anni”.

Da sapere
Senza acqua
Siccità all’inizio di giugno nell’ovest degli Stati Uniti - Fonte:The New York Times
Siccità all’inizio di giugno nell’ovest degli Stati Uniti (Fonte:The New York Times)

Swain racconta che nel 2016 riceveva chiamate da scienziati e giornalisti, ecologisti specializzati negli incendi e pompieri, che volevano approfittare delle sue competenze specifiche. “Ora mi telefonano persone coinvolte nei processi, nelle politiche amministrative, nella creazione di norme a livello pubblico e privato, persone che hanno paura per le loro case. ‘Cosa posso fare per proteggere la mia proprietà? Devo andare via dalla California?’ Tutto sta cambiando”.

Faccio presente a Swain che nel 2019 molte delle persone con cui ho parlato per il mio articolo sottolineavano che il prezzo dell’assicurazione contro gli incendi non era aumentato. Oggi non è più così. Un mio amico che vive lontano dalla zona di contatto tra le aree urbane e quelle boschive, in un piccolo appezzamento alla periferia di Santa Barbara, mi ha confessato che nessuna compagnia vuole assicurare la sua proprietà.

Vado a Las Vegas

“Le persone hanno cominciato a riconoscere la minaccia”, spiega Swain. “Penso che la California sia leggermente avanti rispetto agli altri, nel senso che sta facendo i conti con la realtà materiale delle cose. Lo stato non ha ancora affrontato il problema, ma almeno riconosce che questi problemi esistono e stanno peggiorando. In altre aree non si è neanche arrivati a questo punto. Penso che ci troviamo in un momento di transizione, e queste fasi non sono facili né lineari”.

Alcune settimane fa il mio amico di Santa Barbara ha incontrato il capo dei pompieri locali, che gli ha consigliato di prepararsi all’idea di dover lasciare la sua casa un paio di volte quest’anno, come successo nel 2018. La settimana scorsa l’amministrazione della ricca cittadina affacciata sulla costa ha suggerito ai residenti di affrontare la stagione degli incendi predisponendo una “stanza dell’aria pulita” nelle loro case, anche costruendo depuratori d’aria improvvisati con il nastro adesivo e un ventilatore. Quando ho chiuso la telefonata con Swain ho scritto al mio amico a proposito dell’ondata di caldo in arrivo. Mi ha risposto che le autorità locali, in previsione di venti a 120 chilometri orari, gli hanno comunicato che la corrente elettrica avrebbe potuto essere interrotta lunedì o martedì. Ha aggiunto che stava pensando di lasciare la sua casa e andare a Las Vegas, dove la temperatura prevista era di 46 gradi. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1415 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati