Molti governi stanno usando la pandemia e la crisi ambientale per giustificare spese folli destinate alle infrastrutture. Negli Stati Uniti il presidente Joe Biden dice che il piano Bipartisan infrastructure framework “renderà la nostra economia più sostenibile, resistente ed equa”. Nel Regno Unito il primo ministro Boris Johnson afferma che il piano Build back better “unirà il paese” in nome di una “crescita verde”. La nuova via della seta cinese congiungerà il mondo in un’iperconnettività prospera e armoniosa.

Alcune infrastrutture sono necessarie. Per far circolare meno auto private servono trasporti pubblici più efficienti e piste ciclabili. Servono anche impianti di depurazione dell’acqua e per il riciclo, e centrali eoliche e solari. Per uscire dalla crisi ambientale, però, non possiamo continuare a costruire, proprio come non possiamo continuare a consumare. Perché? Perché dobbiamo tenere presenti le otto regole auree degli appalti pubblici.

Angelo Monne

Numero 1: lo scopo principale delle nuove infrastrutture è arricchire chi le commissiona o le realizza. Anche quando le autorità presentano un progetto su presupposti condivisibili, devono superare un esame: cosa ci guadagnano le aziende? È così, per esempio, che nel Regno Unito è stato “dirottato” un piano per costruire nuove infrastrutture per l’idrogeno. Il mese scorso Chris Jackson, presidente della Uk hydrogen and fuel cell association, si è dimesso dopo che il governo ha deciso di promuovere l’idrogeno ottenuto dal metano invece di quello ricavato da fonti rinnovabili, una scelta che secondo lui condanna il paese alla dipendenza dai combustibili fossili.

Numero 2: si scelgono sempre i progetti con il peggior rapporto qualità-prezzo. Le decisioni sono infatti basate su disinformazione e “ottimismo delirante”. L’alta velocità britannica Hs2, il cui costo è passato dai 37,5 miliardi di sterline del 2009 a una cifra compresa tra 72 e 110 miliardi oggi, mentre i presunti vantaggi economici sono crollati, non costituisce un’eccezione ma la norma.

Numero 3: i vantaggi ambientali sono sopravvalutati e i costi sottostimati. Anche in questo caso l’Hs2 è emblematica: promossa come mezzo di trasporto ecologico, sembra che in realtà emetta più anidride carbonica di quanta ne risparmi. Le grandi dighe idroelettriche producono meno elettricità del previsto e distruggono interi ecosistemi. I danni ambientali delle nuove infrastrutture dipendono sia dall’impatto del cemento, le cui emissioni sono difficili da compensare, sia dalla domanda che alimentano, obiettivo esplicito della “rivoluzione industriale verde” del governo. I problemi, però, non si risolvono aggravandoli.

Numero 4: nei paesi con un’alta biodiversità le infrastrutture sono la causa principale della distruzione degli habitat. Come dimostra uno studio pubblicato su Trends in Ecology & Evolution, le nuove infrastrutture sono “contagiose in termini di spazio”: un progetto tira l’altro e si sconfina in habitat di vitale importanza.

Numero 5: i progetti infrastrutturali danneggiano in particolare le terre delle popolazioni indigene.

Numero 6: le nuove infrastrutture verdi producono i risultati ecologici sperati solo se accompagnate dallo smantellamento di quelle esistenti. Per contenere l’emergenza climatica bisogna rinunciare alle vecchie abitudini.

Numero 7: i paesi ricchi tendono ad avere troppe infrastrutture. La più semplice, economica ed efficace delle politiche verdi consiste nel rinunciare alle corsie autostradali per gli autobus e creare un servizio tra città veloce ed efficiente. E le povere imprese edili?

Numero 8: la soluzione della crisi ambientale non passa solo dalle infrastrutture verdi. Queste devono essere accompagnate da un cambiamento sociale, per esempio viaggiare meno. Non servono solo trasporti su rotaie e parchi eolici, ma anche un nuovo stile di vita.

E invece governi e imprese fanno a gara a darci di più, e chi vuole di meno rimane tagliato fuori. In conclusione, la regola più importante è questa: se vogliamo un mondo più verde dobbiamo opporci alla cementificazione. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1427 di Internazionale, a pagina 107. Compra questo numero | Abbonati