ASanta Iria da Azoia, nel comune di Loures, sotto un viadotto accanto alla strada statale 10 si trovano case di mattoni e assi di legno con il tetto in lamiera, in alcuni casi senza porta e con un telone per coprire l’entrata. Le famiglie che le occupano, arrivate circa due anni fa, vivono in condizioni precarie: hanno l’acqua corrente e l’elettricità, ma non tutte hanno un bagno. All’interno l’umidità corrode le pareti. Nonostante tutto, è sempre meglio che vivere per strada. Il problema è che di recente hanno saputo che queste case saranno demolite.

Quella di rua das Marinhas do Tejo è solo una delle demolizioni in corso nell’area metropolitana di Lisbona. Ad Almada, per esempio, le autorità stanno distruggendo case nel quartiere di Terras da Costa e in quello di Penajoia. Nel quartiere di Talude, a Loures, le demolizioni sono partite già a settembre.

La grave crisi abitativa che ha colpito il Portogallo ha provocato un aumento drammatico delle costruzioni improvvisate, spiega Rita Silva del movimento Vida Justa, facendo l’esempio dell’area di Penajoia, “che in un anno è passata da cinquanta-sessanta famiglie a più di seicento. Il numero di alloggi spontanei cresce rapidamente, ogni giorno arrivano nuovi residenti. Disperati e senza alternative, costruiscono una casa, spesso in una zona a rischio e di difficile accesso”. Silva aggiunge che “la maggioranza di queste persone ha un lavoro, ma il salario non basta a pagare un affitto”. I nuovi residenti “non sono inclusi nei piani municipali, basati ancora sui censimenti del 2016 e del 2020. Secondo Silva servono risposte strutturali delle autorità. “La soluzione non può essere demolire e sfollare”.

Il movimento, che ha assistito le famiglie rimaste senza casa, lancia l’allarme sull’aumento degli interventi, fatti senza garantire alternative e ignorando il rischio per molte persone di ritrovarsi senza un tetto. “Tra novembre e gennaio le richieste di aiuto sono aumentate molto. Mi occupo di casi simili da vent’anni e posso dire che stiamo vivendo una ondata”, spiega Silva, convinta che il fatto che gli sgomberi avvengano ora non sia affatto casuale. “Le autorità stanno ‘ripulendo’ gli insediamenti abusivi perché tra poco ci saranno le elezioni locali”.

Soluzione irrealistica

A Santa Iria da Azoia la demolizione di 15 alloggi era prevista per dicembre, ma alla fine lo sfratto è stato rinviato al 28 febbraio. Secondo Vida Justa l’intervento riguarderà “un centinaio di persone, tra cui venti bambini”. Il comune si è offerto di pagare la caparra e un mese d’affitto per un eventuale nuovo alloggio, ma per l’ong è una soluzione “irrealistica”. Jacinta Ferreira e Lor Neves, una coppia con un bambino di quattro mesi, stanno cercando casa, ma senza successo. “Gli affitti sono intorno agli ottocento-mille euro al mese, per noi cifre improponibili”, spiega Lor Neves, disoccupato. “Abbiamo investito il nostro denaro in questa casa, non è giusto che ci sfrattino”. Il comune di Loures sostiene che le persone coinvolte siano di meno (44) e dice che deve risolvere il problema delle “occupazioni illegali su terreni privati, fuori norma e con un forte rischio per la salute pubblica”. Rispetto all’assistenza ai residenti, dicono che “è stato proposto il trasferimento nei centri di sostegno alla vita per le donne incinte e le madri con figli piccoli, ma nessuna ha voluto separarsi dal resto della famiglia”.

Nel quartiere di Talude “a settembre sono state demolite 24 abitazioni”, riferisce Catarina Ribeiro di Vida Justa, con scarso preavviso anche se i residenti vivevano lì da un paio d’anni. “È stata un’azione violenta. Molti non erano nemmeno presenti e le case sono state distrutte con tutti i loro effetti personali ancora all’interno. È chiaro che nessuno ha avuto il tempo di trovare un alloggio alternativo”. I servizi sociali sono riusciti a trasferire in un altro alloggio due pensionate. “Gli altri sono andati a vivere dai parenti, spesso in case sovraffollate, oppure hanno ricostruito un alloggio altrove”. Intanto il comune di Almada ha fatto sapere che “l’amministrazione continua a lavorare per trovare una soluzione d’emergenza all’interno della previdenza sociale”.◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1603 di Internazionale, a pagina 120. Compra questo numero | Abbonati