Dopo quarant’anni di promozione dell’integrazione attraverso il commercio e la finanza, l’economia globale ha cominciato un doloroso processo di frammentazione. Innescate in un primo momento dai paesi ricchi – gli Stati Uniti dell’ex presidente Donald Trump e il Regno Unito dopo il referendum sulla Brexit – diverse forze geopolitiche si sono combinate tra loro, accelerando la spinta verso la deglobalizzazione. Le spaccature nel commercio globale potrebbero anticipare la frammentazione dei mercati internazionali. Le chiusure determinate dalla pandemia hanno interrotto le filiere di fornitura globali e chiuso i principali centri produttivi, soprattutto in Cina.
Allo stesso modo la guerra in Ucraina ha modificato le rotte commerciali e costretto i paesi occidentali a trovare fornitori alternativi per beni fondamentali come il petrolio, il gas, il grano e i fertilizzanti. Le sanzioni contro la Russia volute dall’occidente hanno ostacolato ulteriormente il commercio, causando un aumento improvviso dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia.
Le chiusure determinate dalla pandemia hanno interrotto le filiere di fornitura globali e chiuso i principali centri produttivi, soprattutto in Cina
Tuttavia, mentre il commercio globale potrebbe diventare ancora più frammentato se le principali economie adottassero politiche protezionistiche, i mercati finanziari continuano a essere fortemente integrati. I flussi internazionali di capitale sono ancora in gran parte non regolamentati. Questa combinazione si sta dimostrando letale per molti paesi a reddito medio e basso. La liberalizzazione dei conti capitale (parte del bilancio pubblico relativa agli investimenti) avvenuta in questi paesi negli anni novanta ha determinato enormi afflussi di denaro ad alto rischio: capitali finanziari privati trainati non tanto dalle previsioni di crescita delle economie dei paesi in via di sviluppo quanto dalle politiche macroeconomiche dei paesi ricchi.
Dopo la crisi finanziaria del 2008 i flussi di capitale verso i mercati emergenti sono aumentati, mentre l’espansione monetaria delle banche centrali dei paesi ricchi ha alimentato bolle speculative. Gli operatori finanziari prendevano in prestito dollari a condizioni favorevoli e li cedevano in valuta straniera ai paesi in via di sviluppo o li investivano in mercati di valuta locale, guadagnando sulla differenza dei tassi d’interesse e sul valore del cambio. Con il passare degli anni l’afflusso di denaro caldo, spesso usato come riserva e investito in titoli a basso rendimento, ha reso le economie emergenti vulnerabili alle fughe di capitale.
Il rialzo dei tassi d’interesse negli Stati Uniti e nell’Unione europea ha peggiorato i debiti con l’estero dei paesi a medio e basso reddito, costringendoli a offrire tassi d’interesse ancora più alti rispetto alle economie avanzate e bloccando così la ripresa dopo la pandemia. Oltretutto, queste impennate dei tassi non hanno impedito la fuga degli investitori stranieri, facendo svalutare la moneta dei paesi emergenti e danneggiando i loro mercati del lavoro e le prospettive di crescita. Tuttavia, la combinazione di tassi d’interesse alti e tagli alla spesa pubblica nei paesi ricchi rischia di provocare recessioni.
Dopo aver seguito l’esempio della Federal reserve, la banca centrale statunitense, molti paesi a medio e basso reddito si trovano in una condizione di grave stagflazione e l’integrazione con la finanza globale sta peggiorando le loro difficoltà economiche.
Invece di imitare i paesi ricchi, le economie emergenti dovrebbero introdurre politiche basate sui loro bisogni: un controllo sui prezzi di beni fondamentali, un aumento della produzione interna e protezioni sociali garantite per le persone disoccupate e per quelle più colpite dall’inflazione. Dovrebbero anche introdurre più controlli sui capitali. Inoltre, proprio come hanno sfidato in modo esplicito o implicito le sanzioni volute dagli Stati Uniti contro la Russia, allo stesso modo dovrebbero emanciparsi dal sistema finanziario internazionale dominato da Washington.
Le economie in via di sviluppo non possono agire da sole, quindi la cooperazione regionale è fondamentale. Il rapporto annuale della conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo fa riferimento a diversi strumenti finanziari per contrastare il dominio delle economie avanzate. Se gli scambi tra i paesi del sud del mondo aumenteranno rapidamente, si osserva nel rapporto, i flussi saranno stabiliti nelle loro valute o attraverso meccanismi valutari regionali che potrebbero contribuire a negoziare accordi di ristrutturazione del debito e a fornire garanzie a livello regionale.
La globalizzazione avrebbe dovuto inaugurare un’era di crescita nel mondo in via di sviluppo, ma in realtà ha fatto il contrario. Ora i paesi a medio e basso reddito devono approfittare della deglobalizzazione e sfruttare la frammentazione dei mercati. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati