Khava Šaidullina è nata nella repubblica del Tatarstan, in Russia, ed è cresciuta in una famiglia musulmana ortodossa. La madre è un’insegnante di arabo, il padre un imam. Da quando aveva sette anni indossa l’hijab, il velo islamico che copre i capelli delle donne, e il primo alfabeto che ha imparato è stato quello arabo. “Già da bambina volevo dedicarmi all’insegnamento dell’islam”, spiega. “L’ho studiato da linguista per sei anni al centro per hafiz (chi conosce il Corano a memoria) di Kazan, imparando l’arabo. E mi sono laureata alla madrasa Muhammadiyah, sempre a Kazan”.
Nove mesi
Si è sposata a diciotto anni senza quasi conoscere il marito, più grande di lei di quattro anni: prima del fidanzamento l’aveva visto una volta sola. È successo perché, come sottolinea lei stessa, è cresciuta in un ambiente molto religioso, in cui a sedici anni una donna doveva già essere sposata, e lei, che ancora non lo era a diciotto, era in ritardo.
“Avevo l’impressione che la principale missione di una donna fosse sposarsi, partorire, essere una buona moglie e crescere i suoi figli. Ora penso che a diciotto anni il matrimonio non sia affatto un passo consapevole, ma il risultato delle pressioni dell’ambiente in cui una donna cresce”, dice la psicologa.
L’idea di dedicarsi alla psicologia le è venuta dopo la nascita del secondo figlio. Era in un momento di crisi, perché i rapporti con il primo si stavano deteriorando. Era arrabbiata con lui, ma non capiva perché. Così ha cominciato a studiare psicologia, concentrandosi sulla terapia familiare, rendendosi conto che il rapporto con i figli è indissolubilmente legato al rapporto tra i genitori.
Dopo dieci anni di matrimonio, madre di cinque figli, Šaidullina non vedeva più alcun futuro insieme al marito, così ha deciso di divorziare. A questo punto, secondo lei, sono cominciate le difficoltà: molti musulmani sono convinti che solo un uomo possa chiedere il divorzio. “È il marito a concedere la separazione, o il giudice del tribunale della sharia. Mio marito si rifiutava di divorziare, per questo ho dovuto ricorrere al tribunale islamico. Il processo è durato nove mesi. Purtroppo la corte non era per niente dalla mia parte”.
In realtà, secondo la legge islamica, una donna ha tutto il diritto di divorziare, qualunque sia la ragione della sua scelta. Secondo il Corano, né il marito né il tribunale possono negarle questo diritto. Tuttavia il giudice, prima del divorzio, può concedere del tempo per tentare di riconciliarsi, durante i quali entrambe le parti devono rispettare una serie di norme.
Il giudice che ha gestito il caso di Šaidullina ha dato alla coppia nove mesi per riprovarci, il periodo massimo previsto dalla sharia. Durante tutto quel tempo i coniugi devono vivere separati, i figli devono stare con la madre e il padre deve soddisfare le condizioni poste dalla moglie. Šaidullina aveva chiesto al marito il minimo degli alimenti, duemila rubli al mese (circa venti euro) per ogni bambino, e che li accompagnasse a scuola ogni giorno. Il giudice ha sostenuto che il marito dovesse prendere una seconda moglie. Questo, secondo lui, avrebbe fatto ingelosire Šaidullina, facendole capire quanto sarebbe stato difficile vivere senza di lui, e così sarebbe tornata.
La cosa peggiore
Šaidullina allora ha cominciato la sua lotta contro il tribunale. Quando il marito si è rifiutato di pagare gli alimenti, e il giudice si è schierato dalla sua parte, la ragazza ha cominciato a parlare pubblicamente di come dovrebbero essere le cose secondo l’islam. “Due settimane prima della scadenza dei nove mesi ho pubblicato un post su Telegram raccontando cos’era successo. Non avevo nemmeno fatto il nome del giudice, ma lui si è così spaventato che alla fine ha dato ragione a me. Ho ottenuto legalmente il divorzio solo perché il magistrato temeva il giudizio dell’opinione pubblica”, dice.
Nel 2016, mentre studiava psicologia, Šaidullina ha aperto un blog, che oggi ha cinquantamila iscritti. Parla di educazione dei figli, rapporti coniugali e religione. Il blog si è rapidamente trasformato in un confessionale per donne musulmane. Ha ricevuto decine di messaggi di lettrici vittime di violenza domestica da uomini che, per giustificarsi, invocavano la tradizione islamica. “Ma l’islam dice che le donne hanno dei diritti. Questi uomini manipolano la religione. I miei post hanno avuto grande risonanza, le donne mi hanno scritto dicendomi che grazie a loro sapevano cosa fare”, racconta.
E aggiunge: “In Arabia Saudita la maggior parte delle donne conosce i propri diritti. Infatti gli uomini non riescono a sposarsi tanto facilmente, perché le ragazze fanno richieste ben precise, naturalmente permesse dalla religione”. In Europa, secondo lei, la situazione è simile, molti imam nelle moschee organizzano sermoni in cui spiegano i diritti delle donne.
E aggiunge: “Ma se guardiamo alle famiglie nei paesi dell’Asia centrale, del Caucaso o del Tatarstan, lì a contare sono le tradizioni, la mentalità e anni di ferite accumulate. Gli uomini credono in una struttura familiare, un’educazione e una mentalità che pensano siano sostenute dalla religione, e se una donna non è d’accordo, allora è automaticamente contro dio. Ecco il problema: non dicono solo ‘mi hanno educato così’, ma ‘l’islam è così’”. Secondo Šaidullina in Tatarstan il matriarcato contribuisce alla rottura di questi atteggiamenti. Ma nel Caucaso del nord le donne non hanno diritti.
Uno dei principali problemi dei seminari di Šaidullina, secondo le persone che l’hanno minacciata, come per esempio il blogger con 1,3 milioni di follower Dibir Boroda, del Daghestan, è che spingeranno le donne a chiedere il divorzio. E il divorzio è la cosa peggiore che possa capitare a una donna, secondo l’ortodossia musulmana caucasica.
L’insegnamento più comune che i genitori impartiscono alle figlie prima del matrimonio è: qualunque cosa lui faccia, sopportala, non hai nessun posto dove tornare. “Nell’islam invece si afferma il contrario. Non esiste una legge, una costituzione che protegga i diritti delle donne tanto quanto l’islam”, sostiene Šaidullina. “Secondo la religione, nessuno ha il diritto di costringere una donna a sposarsi o di picchiarla. Il marito deve garantire sempre il benessere fisico ed emotivo. Nel caso di divorzio, i bambini di età inferiore ai sette anni rimangono con la madre, ma dopo possono scegliere con chi vogliono vivere. Nel Caucaso si pensa che una donna non debba uscire di casa”.
Ogni volta che pubblica un post, Šaidullina riceve minacce e insulti: “I giornali del Tatarstan hanno scritto di me, alle grandi conferenze religiose hanno detto che sono una minaccia per i matrimoni musulmani. Hanno promesso perfino di mandarmi in carcere”.
L’ultimo episodio è successo a giugno, quando ha annunciato che avrebbe tenuto un seminario a Machačkala, in Daghestan, intitolato “Manipolazione religiosa e interpretazione sbagliata dei postulati della religione”.
Blogger e autorità religiose sono insorti, chiedendo l’annullamento dell’evento. Šaidullina, però, non l’ha cancellato, ha pensato di tenerlo online o in un’altra regione: “Non è la prima volta che mi succede. Sono perfino stata avvelenata quando ero incinta, è stato un momento di grande tensione. Ma poi ce l’ho fatta. È triste dover rinunciare ad andare in Daghestan perché non mi sento al sicuro. Ma oggi queste cose non mi scombussolano più”. ◆ ab
◆ 1993 Nasce a Kazan, nelle repubblica russa del Tatarstan.
◆ 2011 A diciotto anni è spinta a sposarsi.
◆ 2016 Apre un blog che parla di educazione dei figli, rapporti coniugali e religione. I suoi post hanno molto successo tra le donne musulmane, ma è minacciata da blogger e autorità religiose.
◆ 2022 Ottiene il divorzio dal marito.
◆ giugno 2023 Un suo seminario in Daghestan è rinviato a causa delle minacce di religiosi locali.
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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati