Come si fanno i conti con un lutto, soprattuto quando la perdita è quella di un genitore? In Parole nascoste, romanzo d’esordio di Arianna Montanari, ex libraia bolognese, l’io narrante s’infila nel baule della memoria alla ricerca di un padre complicato con cui aveva un rapporto complicato. L’uno e l’altro lo sono sempre, almeno quando finiscono nei libri delle figlie – lo dice una che ne sa qualcosa – e le parole che li corredano, le parole nascoste appunto, sono alcolismo, depressione, malattia, dipendenza. Sono quelle che, non avendole trovate in nessun altro racconto, l’autrice sente l’esigenza di scrivere ad alta voce per liberarsi, insieme a quelle di una storia che è sempre stata taciuta. “Quando vengono nominate le cose cominciano a esistere”. Una punteggiatura nervosa racchiude dittici e trittici di aggettivi e sinonimi (“carina/simpatica/magra”; “timido/introverso/malinconico”; “rapido/leggero”; “sottrarsi al mio sguardo/negarsi”) che tendono a rendere il testo ridondante. I passaggi riusciti meglio sono quelli in cui cambia il tono, la lingua si fa più essenziale e diretta, per sviscerare la malattia oltre il linguaggio medico, “ostile ai profani”, e oltre quello bellico che spesso è usato per descrivere il cancro. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati