disuguaglianze
Negli stati dell’ex Jugoslavia continuano ad aumentare le disuguaglianze tra l’1 per cento più ricco e il 40 per cento più povero della popolazione. Sono le conclusioni di uno studio di Branimir Jovanović, economista dell’Istituto di studi economici internazionali di Vienna, che ha analizzato i dati dell’area, con l’eccezione del Kosovo, tra il 1989 e il 2019. “La tendenza è dovuta al periodo di transizione iniziale, quando tutto quello che era stato costruito negli anni precedenti è finito nelle mani delle oligarchie che detengono il potere”, spiega Jovanović.
La Croazia è il paese in cui l’1 per cento più ricco della popolazione si è arricchito di più. Nel 1989 deteneva il 4,6 per cento del pil, una cifra che in trent’anni è raddoppiata: nel 2019 era al 9 per cento. In Slovenia si è passati dal 4,3 all’8,4 per cento, ma con una differenza: in Croazia l’arricchimento è avvenuto a discapito della classe media, mentre in Slovenia sono stati colpiti i più poveri.
Il paese in cui i ricchi hanno visto aumentare di meno il loro patrimonio è la Serbia: nel 1989 detenevano il 9,3 per cento circa della ricchezza totale, salito all’11,2 per cento nel 2019. Dall’arrivo al potere di Aleksandar Vučić nel 2014 i più poveri hanno registrato un lieve aumento dei loro redditi, ma questo non deve nascondere il fatto che le disuguaglianze in Serbia si sono accentuate più che in altri paesi. Solo il Montenegro ha una situazione paragonabile, che potrebbe spiegarsi con i trent’anni di potere oligarchico di Milo Đukanović. In Serbia un aumento significativo delle disuguaglianze è avvenuto solo nell’ultima fase dell’era Milošević. È stato allora che la privatizzazione ha preso il sopravvento ma il regime, pur essendo criminale e corrotto, conservava alcuni lasciti positivi del socialismo. Nell’insieme le grandi differenze tra le disuguaglianze in Slovenia e in Serbia si possono spiegare con il fatto che in Slovenia “la privatizzazione non è stata altrettanto criminale, non c’è stata la costruzione di un sistema economico di sfruttamento. Alcuni paesi dell’ex Jugoslavia hanno realizzato un capitalismo un po’ più umano di altri”, dice Jovanović.
Questo si riflette anche nelle imposte sul reddito. La Slovenia ha aliquote fiscali progressive (chi guadagna meno di 8.500 euro all’anno non paga tasse, per i redditi superiori ai 72mila euro ci sono aliquote fino al 50 per cento), mentre in Croazia ci sono solo tre fasce di reddito e un’imposizione fiscale massima del 30 per cento. La Bosnia-Erzegovina (10 per cento), la Macedonia del Nord (10 per cento), il Montenegro (9 per cento) e la Serbia (10 per cento) hanno un sistema ad aliquota unica.
Beni immobiliari
Secondo Jovanović, in Croazia l’incapacità di ridurre le disuguaglianze è attribuibile allo stato. L’unico obiettivo del governo è attirare investimenti dall’estero garantendo tasse basse e manodopera a buon mercato e istruita. Bisogna tuttavia precisare che lo studio tiene conto solo dei redditi, ma ignora i beni immobiliari e di altro tipo. Considerando anche questi dati emergerebbe un quadro più preoccupante. “L’1 per cento più ricco vive di capitale, non di salari”, osserva Marko Grdešić, economista dell’università di Zagabria. “La disuguaglianza dipende molto anche dalla proprietà. In Croazia è una differenza significativa, anche se nella maggioranza dei casi i croati possiedono l’immobile in cui vivono”.
Oggi in Croazia le famiglie del 10 per cento più povero della popolazione che se la passano meglio hanno redditi annui che non superano i seimila euro, mentre quelle del 10 per cento più ricco messe peggio arrivano a 25.900 euro. In questo campo la Croazia detiene il record tra i paesi dell’Unione europea. “Le istituzioni truccano i dati sulle disuguaglianze. E i docenti universitari, che appartengono al 12 per cento più ricco, si sono trasformati in sentinelle dell’ordine costituito”, commenta l’analista Željko Ivanković. “Alcuni studi confermano le tesi di Jovanović, secondo cui in Croazia la classe media è quella che ha perso di più nella transizione”, conclude. “Ha vinto il capitalismo di connivenza, quello espresso dai più ricchi e dai loro rapporti con la politica”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1423 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati