Fino alla primavera del 2022 Luigi Ferraris, 58 anni, coltivatore di riso a Mortara, nella pianura padana, era ancora fiducioso. Le piogge erano diminuite del 40 per cento nei primi sei mesi dell’anno e sulle Alpi la neve era poca. Questo aveva provocato un calo dell’88 per cento della quantità d’acqua che arrivava al Po dal manto nevoso. Il fiume e i canali erano ai minimi storici, ma nonostante questo Ferraris credeva che la situazione sarebbe tornata alla normalità. “Pensavo che la mancanza d’acqua sarebbe stata temporanea”, racconta.

In questa zona, un tempo paludosa e dove imperversava la malaria, la carenza d’acqua non era mai stata un problema. Per secoli gli agricoltori avevano combattuto per respingerla, costruendo sistemi di drenaggio e livellando il terreno per trasformare lentamente le aree umide in campi coltivabili e risaie. “Qui il problema è sempre stato quello di tenere a bada l’acqua”, dice Alberto Lasagna, direttore di Confagricoltura Pavia. Ferraris si è reso conto della portata dei danni solo alla fine di maggio del 2022, quando le risaie non si erano ancora colorate del solito verde rigoglioso. “Erano marroni. Sembravano di paglia secca”, dice. In 37 anni di gestione della risaia, ereditata dal nonno, Ferraris non aveva mai visto nulla di simile. Ha perso più della metà del raccolto, e non solo lui.

Paglia secca

L’Italia è il più grande produttore di riso in Europa: coltiva circa la metà di tutto quello prodotto nel continente. La maggior parte delle risaie si trova nella pianura padana. È in questi campi che si coltivano varietà uniche per i risotti, come il carnaroli e l’arborio. Nel 2022 il Po, il fiume più lungo d’Italia, è stato colpito dalla peggiore siccità degli ultimi duecento anni. Il corso d’acqua è la linfa vitale di una complessa rete di canali costruiti tra il medioevo e l’ottocento, la principale fonte di irrigazione per le risaie. Secondo l’Ente nazionale risi, nel 2022 l’Italia ha perso 26mila ettari di risaie e la produzione è diminuita di più del 30 per cento rispetto all’anno precedente. La siccità è continuata anche nel 2023 e il raccolto di 7.500 ettari di risaie è andato perduto.

Oggi i coltivatori di riso affrontano un futuro incerto: “Più alte saranno le temperature più gli eventi estremi saranno intensi e frequenti ”, afferma Marta Galvagno, una biometeorologa dell’Agenzia della Valle d’Aosta per la protezione dell’ambiente.

Negli ultimi due anni Ferraris, come altri agricoltori della zona, ha cercato di diversificare le colture per limitare i rischi dovuti alla crisi climatica: ha ridotto la superficie dedicata alle risaie e ha cominciato a coltivare cereali che richiedono meno acqua, come il mais.

Secondo l’Ente nazionale risi, nel 2022 l’Italia ha perso 26mila ettari di risaie

“Il clima sta cambiando e temo che ci saranno altri periodi di siccità”, afferma. La sua azienda agricola nel 2022 ha perso circa 150mila euro, ma il riso rimane il suo raccolto principale. Recentemente ha cominciato a monitorare le nevicate sulle Alpi e a controllare ogni giorno il livello dell’acqua del lago Maggiore. “Non ci dormo la notte”, confida. È particolarmente preoccupato per la produzione di carnaroli, una varietà di riso pregiato. Grazie alla sua capacità di resistere alle alte temperature di cottura e di assorbire i sapori, è considerato il “re dei risotti”, ma è molto vulnerabile ai cambiamenti climatici. L’anno scorso, dopo il processo di decorticazione e imbiancamento, solo il 38 per cento del raccolto di carnaroli classico di Ferraris era commercializzabile. “Spesso a causa della siccità i chicchi di riso si spaccano”, spiega.

Anche Giovanni Pochettino, un agricoltore della riserva della biosfera CollinaPo, inserita nel patrimonio Unesco, a meno di un chilometro dal fiume, coltiva carnaroli e condivide le preoccupazioni di Ferraris. “È sempre più difficile produrre questo tipo di riso perché soffre il caldo di agosto. Sono varietà create quasi cento anni fa, quando le temperature erano molto diverse”, afferma. Sta pensando di rinunciare al carnaroli: “I margini sono bassi e il ritorno economico non compensa il lavoro necessario per coltivare questo tipo di riso”. Inoltre le riserie che comprano il suo raccolto vogliono chicchi perfetti.

Filip Haxhari, ricercatore dell’Ente nazionale risi, afferma che nel 2022 a causa della siccità prolungata la produzione di carnaroli è diminuita del 50 per cento, minacciando una varietà di riso unica: “Solo con il carnaroli e altri tipi simili si può preparare il vero risotto, perché hanno un tratto genetico adatto ad assorbire condimenti e aromi. Sono diverse da tutte le altre varietà di riso al mondo”.

Francesco Avanzi, idrologo del Centro internazionale per il monitoraggio ambientale (Cima), spiega che nel 2022 la siccità del Po è stata causata principalmente dalle alte temperature e dalle scarse nevicate sulle Alpi. Quasi due terzi di tutta l’acqua che scorre nel fiume arriva dallo scioglimento delle nevi alpine. “La neve di solito si scioglie molto lentamente, tra aprile e giugno, e questo le permette di penetrare in modo efficiente nel terreno”, dice Avanzi. La neve sciolta è particolarmente importante in estate perché rifornisce il fiume quando le precipitazioni sono scarse. “Grazie a questo lento rilascio di acqua nevosa i coltivatori di riso sanno che la portata dei fiumi sarà costantemente alta tra maggio e luglio”.

Nuove varietà

Nel 2022 le risorse idriche alpine garantite dalla neve sono diminuite di circa il 60 per cento rispetto al valore mediano del decennio precedente. “L’inverno tra il 2021 e il 2022 è stato il peggiore e il 2023 è stato simile”, afferma Avanzi. Secondo gli ultimi dati del Cima, a febbraio di quest’anno il deficit nazionale delle risorse idriche nevose si è ridotto del 63 per cento rispetto alla media degli ultimi dodici anni. “Non sembra una situazione particolarmente buona”, dice Avanzi.

Negli ultimi anni sempre più spesso i coltivatori di riso del Norditalia hanno adottato la “semina in asciutta” , una tecnica che permette di usare meno acqua e manodopera per l’irrigazione, ma che secondo alcuni esperti contribuisce a rendere i terreni ancora più aridi. “L’acqua che è stata usata per allagare le risaie non è andata sprecata, ha permeato il terreno ed è tornata al fiume”, dice Lasagna.

Haxhari e il suo gruppo hanno cercato di sviluppare nuove varietà di riso che richiedono meno acqua e sono più resistenti ai cambiamenti climatici. “La siccità del 2022 è stata straziante, non avevo mai visto morire tante piante. Ma per noi è stata un’opportunità”, afferma Haxhari, che si occupa di ricerca da più di quarant’anni.

Gli eventi hanno permesso agli scienziati di testare il nuovo prometeo, una varietà di riso già sul mercato e resistente alla siccità, ma non adatto per i risotti. Haxhari spiega di voler sviluppare nuove varietà che rendano giustizia al piatto tradizionale del nord. Ferraris, però, è scettico sul fatto che i piccoli produttori di riso come lui, che puntano sull’alta qualità, trarranno vantaggio da queste nuove varietà: “Se vogliamo attirare clienti dobbiamo concentrarci su prodotti pregiati”, afferma. Anche il consumo d’acqua preoccupa. Nel 2022 nella risaia di Ferraris c’è stata una diminuzione di acqua del 90 per cento. “Stiamo parlando di riso, abbiamo ancora bisogno d’acqua per farlo crescere”, dice l’agricoltore.

La recente siccità è stata aggravata probabilmente da problemi alle infrastrutture. Una ricerca dell’Istat ha rilevato che a causa di difetti strutturali, nel 2020 gli acquedotti hanno perso il 42 per cento dell’acqua immessa. Gli esperti di clima e agricoltura sostengono che i nuovi sistemi per immagazzinare l’acqua e le misure per ottimizzare la rete di approvvigionamento esistente sono fondamentali per ridurre gli effetti delle siccità future.

“Se applichiamo strategie di mitigazione e adattamento, possiamo ancora evitare una catastrofe”, afferma Galvagno. “Come scienziati abbiamo detto tutto quello che c’era da dire. Ora servono gli investimenti e la volontà politica di attuare queste strategie”. ◆ bt

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati