Il ghostwriter del principe Harry, J.R. Moehringer, ha vinto il premio Pulitzer. Il suo romanzo autobiografico su un padre assente è diventato un film diretto da George Clooney. E ora si è dedicato a raccontare i dettagli più intimi della vita e degli intrighi della famiglia reale britannica.
Il principe e lo scrittore sono cresciuti a vent’anni e cinquemila chilometri di distanza, entrambi alle prese con genitori difficili e alla ricerca del proprio posto, in mondi molto diversi. Uno nella famiglia reale, l’altro molto più vicino alla fascia più povera della popolazione. E tutti e due sono diventati padri nel momento in cui le loro strade si sono incrociate.
Quando è successo, per quanto improbabile, l’incontro tra J.R. Moehringer e il duca di Sussex ha portato a una delle autobiografie più esplosive della storia recente. È stato il principe Harry a mettersi a nudo, in modo provocatorio, nel libro Spare. Il minore (Mondadori 2023). Ma è stato Moehringer a mettere nero su bianco la storia di Harry.
Mentori ed eroi
Il newyorchese era nella posizione ideale per farlo: non solo aveva ricevuto un premio Pulitzer per il giornalismo di approfondimento e costume, ma diciotto anni prima aveva anche pubblicato un romanzo profondamente personale, Il bar delle grandi speranze (Piemme), in cui parlava della sua famiglia. Si dice che Moehringer sia stato presentato al principe da George Clooney, che ha contribuito a trasformare le memorie del ghostwriter in un film interpretato da Ben Affleck e Tye Sheridan.
Il principe Harry è cresciuto in una reggia, mentre Moehringer in una “topaia”– come definisce l’affollata casa dei nonni materni nel suo libro autobiografico – ma il trauma familiare, il desiderio di affetto e il legame madre-figlio risuonano nelle vite di tutti e due.
Moehringer, 58 anni, è cresciuto nella cittadina di Manhasset, a Long Island, negli Stati Uniti, figlio di Dorothy, un’ex assistente di volo, e del suo marito violento, il dj radiofonico Johnny Michaels. I due si lasciarono dopo che lui aveva minacciato di sfigurarla. Moehringer e la madre hanno vissuto a lungo con i nonni. Lo scrittore definisce il padre assente “the voice”, e racconta come altri uomini lo abbiano aiutato a diventare un uomo, in particolare suo zio che faceva il barista, e altri improbabili modelli di vita, clienti del bar.
“La mia lista personale di bisogni era lunga”, scrive nel Bar delle grandi speranze. “Figlio unico abbandonato dal padre, avevo bisogno di una famiglia, di una casa e di uomini. Soprattutto di uomini: mentori, eroi, esempi, come una sorta di contrappeso maschile a mia madre, mia nonna, mia zia e alle cinque cugine femmine con cui vivevo. Il bar mi ha fornito tutti gli uomini di cui avevo bisogno”.
Spesso considerava l’unico cugino maschio della casa, McGraw, come un fratello, e i due condividevano un amore ossessivo per lo sport. Amavano i New York Mets “perché ci sentivamo dei perdenti nati”, ha scritto Moehringer nel 2008. McGraw ha trasformato il suo amore per lo sport in un lavoro ed è diventato un conduttore radiofonico popolare a St. Louis. Moehringer, che ha ereditato l’amore per le parole dai suoi eccentrici nonno e zio, è diventato giornalista, al principio come tuttofare al New York Times, prima di passare nel 1990 al Rocky Mountain News, quotidiano del Colorado oggi chiuso, dove “i giornali emanavano ancora un vago sentore di frontiera”, come ha raccontato nel 2008. “Avevano un contegno sobrio e compassato, una tolleranza da vecchio west per i disadattati, gli eccentrici, gli esiliati, i perdenti e i novellini. È per questo che mi sono trovato bene”. Quattro anni dopo è approdato al Los Angeles Times, dove la sua scrittura gli ha permesso di diventare finalista del premio Pulitzer nel 1998, prima di vincerlo nel 2000 per il suo reportage Crossing over, sui discendenti degli schiavi in Georgia.
La sua prima grande incursione nella scrittura consacrata alla sua famiglia risale al 2001, dopo che uno dei suoi cugini di Long Island, Timothy Gerard Byrne, morì l’11 settembre, negli attentati alle Torri gemelle. Per Manhasset, un sobborgo di pendolari, il bilancio in termini di vite umane fu particolarmente pesante. Moehringer tornò a Long Island per scrivere il necrologio di Byrne per il Los Angeles Times. La famiglia dello scrittore entrò definitivamente nella letteratura nel 2005, con Il bar delle grandi speranze. E poco dopo un uomo, rapito da quel racconto su un bambino senza padre, lo chiamò per chiedergli di scrivere la sua, di storia. Quell’uomo era Andre Agassi. Moehringer accettò.
“Le prime interviste furono, semplicemente, dolorose”, ha raccontato al New York Times. “Era bloccato, innaturale, resistente, esitante. La sua memoria era cristallina sulle partite giocate, ma non sulle relazioni personali”. Ma alla fine Moehringer riuscì a tirare fuori ammissioni incredibilmente delicate e ha raccontato la vita di Agassi in una narrazione che esplora in maniera fluida la sua vita, la sua carriera e, in particolare, il suo rapporto con il padre.
Famiglie più o meno reali
Successivamente Moehringer ha seguito altri progetti e ha scritto altre biografie, ma il contratto per lavorare con il principe Harry – si dice per più di un milione di dollari – lo ha lanciato verso un altro livello di celebrità. Pochi mesi prima dell’uscita del film tratto dal Bar delle grandi speranze, il principe Harry aveva annunciato di aver firmato un contratto con la Penguin Random House per un libro autobiografico, scritto “non nelle vesti del principe, ma in quelle dell’uomo che sono diventato”.
La famiglia Moehringer ha accolto con grande benevolenza Il bar delle grandi speranze, sia il libro sia il film. Non sembra che il re Carlo e in generale tutto il clan reale stiano reagendo alla pubblicazione di Spare nello stesso modo.
Moehringer oggi vive nella Bay Area con la moglie, l’editor Shannon Welch, e i loro due figli; la sua amata madre Dorothy è morta nell’agosto 2019. Non ha commentato pubblicamente Spare nel corso della vorticosa tempesta di notizie di cui è stato protagonista il principe Harry, ma le rivelazioni contenute nelle pagine del libro – oltre ai commenti dello stesso principe nelle interviste – lasciano intendere che Moehringer abbia applicato lo stesso stile d’intervista psicoanalitica che ha usato per far sciogliere Agassi.
Il principe e il povero di Mark Twain era uno dei libri preferiti di Moehringer da bambino, come ha scritto in una nuova postfazione del suo romanzo. È difficile immaginare che, affamato d’affetto paterno nella tumultuosa casa in cui ha passato l’infanzia, abbia mai potuto immaginare che un giorno quel titolo avrebbe descritto un aspetto della sua vita. E che il suo incontro con un principe avrebbe potuto renderlo una leggenda. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1495 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati