Nel 1997 l’omicidio di “David”, che lavorava in una piantagione di banane, fu fulmineo quanto brutale. Pochi minuti dopo aver fermato l’autobus su cui viaggiava nella regione costiera di Urabá, un gruppo di paramilitari colombiani di estrema destra lo trascinò via, lo picchiò a morte davanti ai suoi compagni di viaggio e abbandonò il corpo sul ciglio della strada, coprendolo con delle foglie di banano. I documenti giudiziari precisano che il cadavere fu mangiato dagli animali.

La figlia e la cognata di David scomparvero nel nulla poche settimane dopo, mentre un’altra persona della famiglia fu minacciata di morte. Gli altri parenti hanno lasciato per sempre la regione di Urabá.

David fu solo una delle migliaia di vittime delle Autodifese unite della Colombia (Auc), un’organizzazione terroristica di estrema destra che all’apice della guerra civile nel paese, tra la fine degli anni novanta e l’inizio del duemila, arruolava decine di migliaia di combattenti. Il 10 giugno, al termine di un processo civile cominciato 17 anni dopo la morte di David, un tribunale federale degli Stati Uniti ha stabilito che la Chiquita Brands ha finanziato il gruppo paramilitare e ha ordinato all’azienda produttrice di banane di versare 38,3 milioni di dollari di risarcimenti alla famiglia della vittima e a quelle di altre sette, la cui reale identità è conservata nei documenti ufficiali.

I dettagli sui crimini commessi dalle Auc tra il 1997 e il 2004 e sull’impatto che hanno avuto sulle famiglie sono stati illustrati ai componenti della giuria statunitense chiamata a deliberare sull’ipotesi che la Chiquita Brands, uno dei marchi più noti al mondo, avesse agito “come un imprenditore ragionevole” pagando le Auc.

A Urabá la paura non è scomparsa. Alcuni criminali sono ancora a piede libero

Le famiglie sostengono che i pagamenti alle Auc hanno contribuito a finanziare la violenza dei paramilitari e dunque che la Chiquita Brands dev’essere considerata responsabile degli omicidi commessi dai paramilitari. Secondo gli avvocati che hanno vinto la causa in Florida “è la prima volta che una giuria americana condanna una grande azienda statunitense per complicità in gravi violazioni dei diritti umani compiute in un altro paese” (la multinazionale oggi ha sede in Svizzera, ma è nata negli Stati Uniti).

Il verdetto è arrivato al termine di una battaglia giudiziaria durata quasi vent’anni e portata avanti dalle famiglie delle vittime, che hanno fatto causa alla Chiquita dopo la conclusione di un altro caso, nel 2007. In quell’occasione l’azienda aveva riconosciuto di aver versato 1,7 milioni di dollari “in cambio di protezione” alle Auc (in quel momento il dipartimento di stato statunitense le considerava un’organizzazione terroristica straniera), accettando di pagare al governo statunitense una multa di 25 milioni di dollari.

Marco Simons, consulente di Earth rights international, una ong per la difesa dei diritti umani che ha dato assistenza legale alle vittime, ha descritto la strategia giudiziaria come un “tentativo di creare un precedente” selezionando i nove casi più solidi tra più di 4.500 denunce. Secondo Simons in futuro ci saranno altri processi simili.

“È stato un onore rappresentare queste persone negli ultimi 17 anni. Non abbiamo completato l’opera, ma questa vittoria è un passo avanti decisivo. Speriamo di aprire la strada ai risarcimenti per tutte le vittime”, ha detto in una conferenza stampa l’11 giugno a Washington. Considerando che la Chiquita Brands presenterà ricorso, Simons ammette che difficilmente le vittime riceveranno un risarcimento in tempi brevi, ma il verdetto invia comunque un messaggio forte sulla necessità che le aziende rispettino i diritti umani. La Chiquita Brands ha sempre sostenuto di essere stata a sua volta una vittima, in quanto costretta a pagare le Auc in cambio della loro protezione. Anche se quest’argomentazione non ha convinto la giuria che la Chiquita abbia agito “come avrebbe fatto un imprenditore ragionevole in simili circostanze”, l’azienda è fiduciosa che alla fine la “sua posizione legale prevarrà”.

Il coraggio di parlare

Nel processo del 2007, intentato dal dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, la Chiquita aveva ammesso di aver fatto “più di cento pagamenti alle Auc per un totale di più di 1,7 milioni di dollari”. L’azienda aveva registrato i versamenti come “servizi di sicurezza” anche se non aveva mai ricevuto nessun servizio in cambio del denaro, come si legge in un comunicato stampa diffuso all’epoca dal dipartimento di giustizia. Eric Holder, rappresentante legale della Chiquita Brands nel processo del 2007 prima di diventare ministro della giustizia durante la presidenza di Barack Obama, aveva dichiarato davanti al tribunale che l’azienda era stata “costretta a pagare diverse organizzazioni terroristiche in più di quindici anni perché controllavano le zone in cui operava, sostituendosi al governo colombiano”.

Tuttavia in quel processo la Chiquita aveva ammesso in un patteggiamento di aver continuato a pagare volontariamente le Auc anche dopo che, nel 2001, Wash­ington aveva inserito il gruppo paramilitare tra le organizzazioni terroristiche e nonostante un alto dirigente avesse presentato un esposto al consiglio d’amministrazione manifestando la sua “ferma convinzione” che bisognasse “vendere le nostre operazioni in Colombia” a causa dei soldi versati alle Auc per la protezione.

Gli inquirenti federali hanno scoperto che tra il 1997 e il 2004 la Chiquita Brands ha maturato ricavi per 49,4 milioni di dollari dalla sua attività in Colombia.

Le Auc furono fondate nel 1997 durante una delle fasi più tragiche della guerra civile colombiana. In quegli anni i guerriglieri di sinistra delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) muovevano guerra allo stato, spesso a spese della popolazione civile. Nel processo del 2007 la Chiquita Brands aveva dichiarato di aver subìto estorsioni sia dai combattenti delle Farc sia da quelli dell’Eln prima di rivolgersi alle Auc nel 1997.

Davanti alla possibilità di una rivoluzione comunista armata nel paese, i proprietari terrieri colombiani e i simpatizzanti di destra avevano creato gruppi di vigilanti per rispondere colpo su colpo alle azioni della guerriglia. Le Auc sono state un’organizzazione di questo tipo e negli anni precedenti alla loro smobilitazione, avvenuta nel 2006, hanno terrorizzato la popolazione del nord della Colombia per arginare la ribellione. All’apice delle loro attività, le Auc potevano contare su decine di migliaia di combattenti e si finanziavano soprattutto attraverso il narcotraffico. Dopo lo scioglimento, più di una decina di leader paramilitari sono stati estradati negli Stati Uniti, dove sono stati processati per traffico di droga.

Oggi la Colombia è un paese molto diverso da quello in cui sono nate le Auc. Nel 2016, pochi anni dopo la smobilitazione del gruppo, un accordo di pace ha messo fine a 52 anni di conflitto tra il governo e le Farc, anche se alcuni dissidenti continuano a portare avanti la lotta.

Sia i paramilitari di destra sia i guerriglieri di sinistra sono stati coinvolti in processi giudiziari per fare luce su alcune delle pagine più buie del conflitto.

Ma a Urabá la paura non è scomparsa. Alcuni ex combattenti delle Auc sono ancora liberi e hanno formato un’organizzazione criminale, il Clan del golfo, che sfida il governo per il controllo del nordovest della Colombia.

Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani ritengono che le grandi multinazionali continuino a rivolgersi ai politici locali e ai gruppi criminali nel tentativo di contrastare gli attivisti, soprattutto quelli per la difesa dell’ambiente, che corrono gravi pericoli per il loro lavoro.

Tuttavia, almeno per alcune delle molte vittime della violenza dei paramilitari il verdetto del tribunale della Florida è motivo di ottimismo. Una delle querelanti ha chiesto alla Cnn di condividere questo messaggio per il futuro: “Mio figlio e mia figlia mi dicono ‘mamma, non rispondere al telefono, non parlare’. Ma la paura sopravvive solo fino a quando qualcuno non ha il coraggio di parlare”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati