Quando il 14 ottobre Southern afternoon, un corto diretto dal regista cinese Lan Tian, è stato premiato con il Sonje award al festival internazionale di Busan, in Corea del Sud, molti hanno pensato che per il settore dei cortometraggi cinesi fosse già stato un anno buono. Tre giorni dopo un altro film cinese, I have no legs, and I must run di Li Yue, ha vinto il premio per il miglior corto al London film festival.
Sembra che negli ultimi tempi i cortometraggi cinesi facciano a gara. I premi per le opere di Lan e Li seguono quelli di altri autori e autrici che sono riusciti a farsi un nome. L’apice è stato raggiunto a maggio 2022, a Cannes, dove sono stati premiati tre cortometraggi cinesi.
Busan, Cannes, Taiwan
The water murmurs, diretto da Chen Jianying, ha vinto la Palma d’oro per i cortometraggi, il principale premio del festival per questa categoria. Will you look at me, di Huang Shuli, è stato il primo film cinese a ricevere la Queer palm, un premio per le opere su temi lgbt+. Somewhere di Li Jiahe ha ottenuto il secondo premio nella sezione La Cinef, riservata ai corti delle scuole di cinema di tutto il mondo.Nel frattempo tre cortometraggi di registi della Cina continentale concorreranno ai prossimi Golden horse awards di Taiwan, anche se Pechino ha deciso da tempo di boicottare la manifestazione.
Il notevole successo dei cortometraggi realizzati da registi cinesi è in netto contrasto con il momento di crisi della produzione di lungometraggi nel paese, che a detta di tutti sta vivendo un periodo particolarmente poco esaltante sulla scena internazionale.
“I risultati ottenuti dai corti cinesi in questi anni sono abbastanza clamorosi”, spiega Vivi Fan, docente alla Communication university of China, che si occupa di formazione nel campo dell’audiovisivo e della comunicazione. “Attraverso i cortometraggi i giovani registi cinesi stanno mostrando al pubblico e alla critica mondiale la nuova energia che anima il loro cinema”.
Secondo Fan, che è anche consigliere del festival di Busan, la forza creativa di queste opere deriva dalla libertà con cui possono esprimersi gli studenti delle scuole di cinema. “Queste produzioni non pongono limiti di lunghezza, genere, pubblico o ideologia. Il risultato evidente è che gli artisti delle nuove generazioni esprimono con forza il loro pensiero”.
Lei Shan, docente di cinema a Pechino e consulente del festival di Cannes, sottolinea che il numero di studenti di cinema è un vantaggio soprattutto durante i festival. “Il numero di studenti di cinema in Cina è molto alto. Le scuole di cinema studiano a fondo le caratteristiche di un festival e poi creano cortometraggi che si adattano ai suoi gusti”, sostiene Lei.
Oltre ai numeri, secondo Lei cresce anche la qualità del lavoro dei giovani. “L’ingresso del mercato in questo settore può generare una ‘industrializzazione’. Avvicinando i giovani autori al processo di produzione, permettendogli di collaborare con troupe di professionisti e con attori di prim’ordine”.
Il regista di Southern afternoon, Lan, afferma che i giovani registi cinesi sono appassionati di cortometraggi. “Vedo molti di loro che ci si avvicinano con grande passione, una cosa quasi commovente”.
Il lavoro di Lan ha già vinto il premio per il miglior corto al First international film festival – manifestazione dedicata alla promozione dei giovani talenti cinesi – dove ha dovuto competere con altre opere di ottimo livello come I have no legs, and I must run di Li.
Song Wen, cofondatore del First festival, ritiene che lo stile dei nuovi autori sia in evoluzione. “Non c’è più bisogno di mettersi in mostra. Queste opere sono animate da una sensibilità umanistica più che tecnica. La maggior parte di loro si concentra su questioni sociali, relazioni familiari e sui problemi delle persone comuni”.
“Molti di noi sentono di ‘avere una missione’”, aggiunge Lan.
Ma anche se il settore dei cortometraggi sta vivendo un momento magico, l’ombra che incombe su tutta l’industria cinematografica del paese non si è dissipata. L’inasprimento della censura è un fattore importante. “Il numero di lungometraggi che si affacciano sul palcoscenico internazionale è diminuito drasticamente”, dice He Xuan, un produttore cinese. “È sempre più difficile ottenere il ‘marchio del drago’”, continua, riferendosi al visto della censura, necessario per la partecipazione dei film ai festival internazionali. “I tempi per ottenerlo sono sempre più lunghi e le indicazioni della commissione su come riuscirci sono scarsissime”.
Leggi di mercato
Un altro fattore importante è la diminuzione delle produzioni e la chiusura delle sale causate dalla politica dello “zero covid”. “Le condizioni per lavorare non sono ideali. Molti autori sono in letargo da tre anni”, afferma Lei. Perciò i registi che hanno fatto esperienza con i cortometraggi possono rappresentare il futuro del cinema cinese, quando le restrizioni si alleggeriranno.
Un esempio è Wei Shujun, trent’anni: dopo che il suo corto On the border è stato premiato a Cannes nel 2018, ha realizzato due film, Striding into the wind (2020) e Ripples of life (2021), entrambi selezionati al festival francese. Lo stesso Lan vuole trasformare in lungometraggio Southern afternoon, e contemporaneamente sta lavorando a un altro film.
Tuttavia Shi Chuan, vicepresidente della film commission di Shanghai, ritiene che questi registi giovani abbiano ancora molta strada da fare. “Una volta usciti dalle scuole di cinema bisogna capire come affrontare il mercato. Per i corti si guarda soprattutto alla creatività e allo stile personale. Elementi buoni per vincere premi, ma poco indicativi dal punto di vista commerciale”, dice Lei.
I ritmi e le dimensioni delle produzioni sono diversi. “Per trasformare i corti in film commerciali c’è bisogno di soldi e di festival che facciano da vetrina per il mercato internazionale”.
Rispetto all’età dell’oro, circa vent’anni fa, il cinema commerciale è cresciuto rapidamente. Uno sviluppo accompagnato da un evidente ridimensionamento del culto dei festival e quindi del cinema d’autore.
“Da un punto di vista pratico, la maggior parte delle produzioni cinesi oggi mette al primo posto il valore commerciale di un’opera, a scapito dello stile e del valore artistico”, dice Shi. “Perciò il successo nei festival internazionali conta fino a un certo punto. L’ambiente è cambiato e le strategie produttive stanno cambiando con lui”. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati