Martedì 5 novembre 2024 negli Stati Uniti si vota per eleggere il nuovo presidente e rinnovare parte del congresso. L’ex presidente repubblicano Donald Trump e la candidata democratica Kamala Harris si contenderanno il ruolo di 47º presidente, prendendo il posto di Joe Biden. Ma vediamo nei dettagli come si svolgono e cosa c’è da sapere sulla 60ª elezione presidenziale degli Stati Uniti.
Quando, come e per cosa si vota
Le elezioni si tengono ogni quattro anni, il martedì dopo il primo lunedì di novembre. In realtà, tantissimi cittadini hanno già espresso la loro preferenza attraverso le procedure per il voto anticipato: secondo i dati aggiornati al 4 novembre, sono più di 82 milioni gli early votes, circa il 50 per cento dei voti totali delle elezioni del 2020. In quell’occasione, in piena pandemia, il voto anticipato aveva raggiunto un numero record, con oltre 103 milioni di preferenze registrate prima del 5 novembre.
Si vota anche per eleggere il vicepresidente (J. D. Vance per i repubblicani e Tim Walz per i democratici), per rinnovare l’intera camera dei rappresentanti, formata da 435 persone, e un terzo del senato (34 dei cento membri). Ogni stato è rappresentato alla camera in base alla sua popolazione, mentre al senato ognuno può contare su due seggi. Dopo averlo riconquistato nel 2021, sono i democratici a controllare il senato, con 51 seggi contro i 49 dei conservatori. Dal 2022 i repubblicani hanno invece riottenuto la maggioranza alla camera, con 220 seggi contro i 212 del partito di Kamala Harris. Il 5 novembre si vota anche per una serie di referendum in tanti stati. Ce ne sono a ogni elezione, ma stavolta sono di più (anche per via dello stallo causato dalla polarizzazione politica) e potrebbero avere un impatto maggiore del solito a livello nazionale e anche condizionare l’affluenza per le presidenziali.
Ad avere diritto di voto sono tutti i cittadini statunitensi che abbiano compiuto 18 anni. Il presidente degli Stati Uniti eletto a novembre comincerà ufficialmente il suo mandato il 20 gennaio 2025.
Come funziona il sistema elettorale
Gli Stati Uniti hanno un sistema a elezione semidiretta: il presidente è scelto dai cittadini, passando però per i cosiddetti grandi elettori, che sono 538 in totale e formano il collegio elettorale, previsto dall’articolo 2 della costituzione. Vince chi ottiene almeno 270 voti dei grandi elettori, la metà più uno del collegio elettorale (il cui numero è pari al numero dei rappresentanti al congresso: 435 deputati, cento senatori e tre rappresentanti per il District of Columbia, dove si trova la capitale Washington). Se nessun candidato raggiunge quella soglia, spetta alla camera eleggere il presidente mentre il senato sceglie il vicepresidente. Il numero di grandi elettori per ogni stato varia in base alla sua popolazione: per esempio, la California, che ha quaranta milioni di abitanti, ha diritto a 54 grandi elettori; mentre il Wyoming, che ha seicentomila abitanti, ne ha tre. In ogni stato (tranne che in Maine e Nebraska, dove alcuni voti sono attribuiti dai distretti) il candidato che ottiene più voti conquista tutti i delegati in palio.
Gli swing states
Tradizionalmente le elezioni si giocano sui cosiddetti swing states, un gruppo di stati il cui risultato è in bilico tra repubblicani e democratici, e quindi decisivo per le presidenziali. Quest’anno sono sette: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin. Secondo gli ultimi sondaggi, Harris risulterebbe avanti (anche se di poco) in Michigan, Pennsylvania, Wisconsin (i tre stati che formano il cosiddetto blue wall, il muro blu, dal colore dei democratici) e in Nevada. Trump invece è avanti in Arizona, Georgia e North Carolina.
I risultati
Come hanno dimostrato le elezioni del 2016, un candidato può vincere il voto popolare (cioè prendere nel complesso più voti del suo avversario) e perdere le elezioni. Otto anni fa Hillary Clinton, la candidata del Partito democratico, prese tre milioni di voti in più rispetto a Trump, ma perse comunque le elezioni. Questo perché il candidato repubblicano riuscì a vincere per pochi voti proprio in Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, i tre stati del blue wall.
Di solito nelle ore successive alla chiusura delle urne si comincia a capire chi è in vantaggio e quando in Italia sono le 5-6 di mattina si sa chi ha vinto, ma se lo scarto tra i due candidati dovesse rivelarsi molto ridotto potrebbe volerci un po’ di più. Inoltre non aiuta il fatto che le modalità di conteggio dei voti cambiano da uno stato all’altro. Ma c’è una data limite: martedì 17 dicembre i nuovi grandi elettori dovranno riunirsi per votare e nominare il presidente e il vicepresidente. Non sono giuridicamente vincolati a votare in base al risultato del loro stato, hanno solo un obbligo politico, che in tutta la storia degli Stati Uniti è stato quasi sempre rispettato.
Cosa dicono gli ultimi sondaggi
Le rilevazioni considerate più affidabili danno Trump e Harris molto vicini negli stati considerati decisivi, in particolare in quelli del blue wall, cioè Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Questo spiega perché i modelli di previsione, come quelli di Nate Silver e dell’Economist, attribuiscono ai due candidati le stesse probabilità di vittoria.
Iscriviti a Americana |
Cosa succede negli Stati Uniti. A cura di Alessio Marchionna. Ogni domenica.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Americana
|
Cosa succede negli Stati Uniti. A cura di Alessio Marchionna. Ogni domenica.
|
Iscriviti |
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it