È stato nel 2015 che i pazienti di Jennice Vilhauer, una psicoterapeuta di Los Angeles, hanno cominciato a raccontarle storie di fantasmi. Vilhauer aiutava da oltre dieci anni persone con problemi di depressione, ansia e relazioni, ma all’improvviso i pazienti hanno cominciato a parlarle di un problema nuovo, che li angosciava moltissimo.
Erano vittime di ghosting, termine usato quando una persona chiude ogni comunicazione con un’altra, scomparendo come un fantasma (ghost). I messaggi vengono ignorati e, in un attimo, la persona con cui si era instaurato un legame – in genere un partner romantico, ma a volte anche un amico o un collega – sceglie di allontanarsi senza alcuna spiegazione. Quando Vilhauer si è messa a cercare maggiori informazioni in proposito, ha trovato poco materiale su questo fenomeno. Così ha cominciato a pubblicare le sue osservazioni online e ben presto è stata sommersa da email di persone che erano state “ghostate”. “L’interesse per questo tema è esploso perché si verifica molto di frequente”, spiega Vilhauer.
La domanda sorge spontanea: cosa rende particolarmente doloroso il ghosting? Dopotutto, si soffre quasi sempre quando una relazione finisce. Subire ghosting nell’era dei social network è più doloroso che, per esempio, nel selvaggio west, quando il tuo amante saliva a cavallo e ti lasciava in una scia di polvere senza nemmeno comunicarti il suo nuovo indirizzo? Oggi stiamo cominciando a capire e a inquadrare le ragioni per cui le persone spariscono, come le stranezze del cervello possano far sentire le vittime di ghosting peggio di quanto dovrebbero e come, paradossalmente, il ghosting possa diventare meno doloroso.
Sparire all’improvviso
Nel 2015 il ghosting faceva soffrire così tanto perché era del tutto inaspettato, dice Vilhauer: non era una possibilità a cui ci si preparava mentalmente quando si cominciava una relazione. Sebbene sia indubbio che nel corso della storia le persone si siano sempre sfilate dalle relazioni senza preavviso, la tecnologia sembra aver aumentato la frequenza di questa pratica. Uno studio del 2021 condotto da ricercatori della Wesleyan university nel Connecticut, Stati Uniti, evidenzia come i social network giochino un “ruolo fondamentale nel ghosting” a causa del loro anonimato e perché ci permettono di connetterci agli altri – e quindi anche di disconnetterci – con facilità. Come ha detto un ghoster che ha partecipato allo studio: “Nascondersi dietro lo schermo e non affrontare le conseguenze è più facile”.
Le stime sulla diffusione del ghosting variano. Secondo una ricerca del 2018 che ha coinvolto più di 700 persone adulte, un quarto di loro ha sperimentato il ghosting, ma un sondaggio del 2016 condotto dal sito di incontri Plenty of Fish su 800 persone di età compresa tra i 18 e i 33 anni ha stimato che questa cifra sfiori l’80 per cento.
Vilhauer sottolinea che il dolore delle vittime di ghosting è molto reale. Si tratta di una forma di rifiuto sociale che si manifesta nel cervello in modo simile al dolore fisico, come conferma un altro studio del 2011 che ha dato un nuovo significato all’idea che il rifiuto faccia soffrire: quando alle persone che avevano recentemente vissuto una rottura indesiderata venivano mostrate immagini dell’ex partner e gli veniva chiesto di pensare al fatto di essere state rifiutate, si attivavano le stesse regioni cerebrali che rispondono al dolore fisico.
Sebbene la quantità di dolore provata dalle vittime del ghosting potrebbe essere diversa per ognuna di loro, le conseguenze psicologiche sono molto simili
Ma questa ricerca non riguarda unicamente il ghosting, bensì il rifiuto in generale, e i pochi studi che hanno esaminato nello specifico il ghosting mostrano risultati contrastanti. In base a una ricerca del 2021, chi ha sperimentato il ghosting riporta livelli di ansia molto più alti rispetto a chi che non l’ha vissuto. Tuttavia, un altro studio condotto nel 2019 su persone che avevano vissuto una rottura negli ultimi cinque anni, non ha individuato alcuna differenza significativa nella quantità di sofferenza provata per questa particolare tipologia di interruzione di un rapporto. Sempre secondo questo studio, è interessante notare come la durata media della relazione prima del ghosting fosse di sei mesi, quindi questa pratica non è usata solo per terminare una relazione occasionale e di breve durata.
Anche se la quantità di dolore provata dalle vittime del ghosting potrebbe essere diversa per ognuna di loro, le conseguenze psicologiche sono molto simili. Non dev’essere facile comprendere queste reazioni per chi non le ha vissute in prima persona. Quando ho raccontato a un’amica che stavo scrivendo un articolo sull’argomento e le ho detto che (non essendomi mai trovata in una situazione del genere) non credevo fosse “così grave”, lei mi ha corretto subito. Ha descritto l’esperienza come disumanizzante e ha detto che la sua mente è andata in tilt immaginando di aver subìto ghosting per motivi orribili: “Ero convinta che mi trovassero ripugnante, che si vergognassero di essere visti con me”. Questa amica stima di aver avuto circa settanta appuntamenti con persone conosciute tramite le app di incontri. Non ricorda con precisione chi le ha detto esplicitamente di non volerla più vedere, “ma ricordo molto chiaramente ogni volta che qualcuno è sparito”, dice.
La fine è importante
Questa conseguenza dolorosa può forse essere spiegata prendendo in considerazione alcune peculiarità intrinseche del nostro cervello. Secondo la peak-end rule o “regola del picco-fine”, a causa di un bias (ovvero di una distorsione) della memoria valutiamo un’esperienza in base ai suoi momenti più intensi e a come finisce. La dimostrazione migliore di questo fenomeno si deve allo psicologo Daniel Kahneman e colleghi, che nel 1993 chiesero a un gruppo di persone di immergere una mano nell’acqua gelida per sessanta secondi e poi gli chiesero di fare lo stesso per novanta secondi, ma questa volta aumentarono gradualmente la temperatura dell’acqua durante gli ultimi trenta secondi. Quando chiesero ai partecipanti quale prova avrebbero voluto ripetere, una significativa maggioranza scelse l’esperimento più lungo. Per le persone la durata del dolore conta meno del modo in cui il dolore finisce. La fine è importante.
Per la mia amica come per altri, la mancanza di una chiusura può rendere il ghosting un’esperienza particolarmente difficile. Quando qualcuno smette di comunicare con te, potrebbe significare che ha avuto un incidente, che l’hai inconsapevolmente offeso o che si è innamorato di un’altra persona. Non puoi saperlo. In base a un’indagine condotta nel 2020 dai ricercatori dell’università Erasmus di Rotterdam, nei Paesi Bassi, su 328 persone che usano app di incontri il 14 per cento “ha affermato di aver bisogno di una chiusura per poter superare la propria esperienza di ghosting”.
La necessità di una chiusura cognitiva è stata identificata per la prima volta negli anni novanta dallo psicologo sociale Arie Kruglanski dell’università del Maryland, negli Stati Uniti, ed è legata al desiderio di conoscere in modo certo le situazioni in cui ci troviamo. “È essenziale affinché possiamo formulare giudizi e prendere decisioni”, afferma Kruglanski, secondo il quale la mancanza di una chiusura può portare a una “specifica mancanza di certezze che traumatizza e genera ansia”.
Il bisogno di sapere
L’assenza di certezze è una sensazione sgradevole per molte persone. Per esempio, uno studio del 2016 condotto da Archy de Berker e colleghi dello University College London ha scoperto che quando si tratta di un dolore imminente non avere certezze è molto più stressante che averle. I ricercatori hanno monitorato 45 volontari impegnati in un gioco in cui venivano somministrate delle piccole scosse elettriche. I partecipanti che sapevano di avere il 50 per cento di probabilità di ricevere una scossa provavano più stress di quelli che avevano la certezza di riceverla. “A quanto pare è molto peggio non sapere se riceverai una scossa che sapere con sicurezza che la riceverai oppure che non la riceverai”, ha concluso de Berker. Lo stesso potrebbe valere per la fine di una relazione.
Inoltre, secondo Kruglanski il ghosting può danneggiare il nostro bisogno di sentirci importanti per gli altri. “Quando qualcuno ci ignora – tanto che non siamo nemmeno degni di una risposta – è un duro colpo per la percezione del nostro valore sociale”, afferma. Nutriamo una fondamentale esigenza di approvazione da parte della società e Kruglanski teme che ripetuti casi di ghosting possano avere un effetto cumulativo sull’autostima di una persona. “Se sembrano tutti liberi di fare ghosting nei tuoi confronti, allora vuol dire che non devi valere molto”, spiega.
Ma Kruglanski dice anche che non tutti hanno la stessa necessità di mettere la parola fine a una relazione o di sentirsi apprezzati. Alcuni individui sono più tolleranti in questi aspetti. Recenti ricerche dimostrano inoltre che le convinzioni sul mondo influenzano l’atteggiamento nei confronti del ghosting. Uno studio guidato da Gili Freedman del Dartmouth College nel New Hampshire ha rilevato che chi nutre “una fede più forte nel destino”, e che per esempio crede nell’esistenza dell’anima gemella, è più propenso a ritenere accettabile il ghosting, perché “alcune cose non erano destinate ad accadere”.
Farsene una ragione
Tuttavia, ora che il ghosting è diffuso potrebbe diventare più semplice affrontarlo. È impossibile dire se ai tempi del selvaggio west chi sperimentava una rottura provasse più dolore rispetto a una vittima odierna di ghosting, anche perché all’epoca le persone non avevano un termine preciso per descrivere e classificare la loro esperienza. Vilhauer ritiene che quando ha cominciato le sue ricerche il ghosting fosse più doloroso rispetto a oggi perché le persone non se l’aspettavano. “Era davvero dannoso per l’autostima dei miei clienti, perché sembrava una situazione che vivevano solo loro e nessun altro”, afferma.
Kruglanski afferma che l’invenzione del termine ghosting ha aiutato le persone ad affrontarlo. È stato coniato dalla scrittrice Hannah VanderPoel nel 2014, ma è diventato popolare nel 2015 quando è circolata la voce che l’attrice Charlize Theron avesse rotto con Sean Penn semplicemente ignorando le sue chiamate e i suoi messaggi. “Etichettarlo come ghosting offre una soluzione”, dice Kruglanski. “In passato non si sapeva a cosa attribuirlo. Ora si dice: ‘Ah, sta facendo ghosting. Peccato che sia quel genere di persona’”.
Ma che “genere di persona” è esattamente un o una ghoster? L’anno scorso, uno studio condotto da Peter Jonason e dai suoi colleghi dell’università di Padova ha messo in relazione il ghosting con i tratti della cosiddetta “triade oscura della personalità”: psicopatia, machiavellismo e narcisismo. È emerso che le persone che in passato avevano fatto ghosting erano più machiavelliche e psicopatiche di quelle che non l’avevano fatto.
Sebbene possa essere di conforto pensare che chi vi ha sottoposto a ghosting abbia tratti psicotici, la realtà non è così semplice. “Non tutti quelli che fanno ghosting hanno un alto livello di triade oscura”, conferma Jonason, e fa anche notare che chi presenta questi tratti in modo lieve ha meno probabilità di essere attirato da relazioni a breve termine e dal sesso occasionale, quindi probabilmente ha meno opportunità di fare ghosting.
E poi le persone fanno ghosting per una serie di motivi, non sempre egoistici. L’indagine condotta nel 2020 dai ricercatori dell’università Erasmus di Rotterdam ha rivelato che il 16 per cento delle persone ha fatto ghosting perché non voleva ferire la persona che stava rifiutando, mentre l’8 per cento si è sentito costretto a farlo perché temeva che il partner sarebbe diventato violento di fronte a un rifiuto diretto. La ricerca ha anche riscontrato più volte che le persone che fanno ghosting e quelle che lo subiscono non sono diverse. “Chi è stato respinto, sembra che trovi più facile respingere qualcuno a sua volta”, afferma Vilhauer.
Ma se chi ha subìto ghosting comincia a praticarlo, significa che siamo finiti in una spirale negativa in cui la tecnologia sta erodendo la nostra empatia e rovinando le nostre relazioni? Vilhauer teme che il ghosting possa rendere più difficile per le persone essere vulnerabili, il che può rendere più complicato instaurare relazioni significative. Tuttavia, al momento non esistono studi che colleghino l’aumento del ghosting a un calo dell’empatia.
Eppure il ghosting ha delle conseguenze e non è detto che, come alcuni ghosters potrebbero dire a se stessi, sia un modo più facile e gentile di chiudere una relazione rispetto al rifiuto diretto. “La mia reazione emotiva è stata decisamente superiore a quella che mi sarei razionalmente aspettata”, ha confermato la mia amica a proposito delle sue esperienze di ghosting. “Te lo assicuro, è meglio che la persona in questione ti dica semplicemente: ‘No, grazie. Ci si vede in giro’”.
(Traduzione di Davide Musso)
Il ghosting potrebbe essere un aspetto negativo inevitabile degli appuntamenti digitali, ma alcune app stanno correndo ai ripari. L’app di appuntamenti Snack, rivolta alla generazione che utilizza TikTok, ha introdotto delle funzionalità per scoraggiare il ghosting. I trasgressori frequenti possono essere segnalati e la visibilità del loro profilo si riduce di conseguenza, con l’obiettivo di “portare buone maniere e decenza di base nell’uso dell’app”. E nel 2019, la Bumble ha lanciato una flotta di pedicab a New York City con lo slogan “No ghosting on Bumble”, come parte di una campagna per spingere i suoi utenti a essere più schietti quando la relazione si spegne.–New Scientist
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Scientist.
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