Dall’inizio dell’anno Regno Unito e Francia sono ai ferri corti a proposito delle licenze di pesca nelle acque britanniche dopo la Brexit. Il dialogo va avanti, ma entrambi i paesi hanno minacciato azioni drastiche. Alcune forzature nelle traduzioni delle dichiarazioni ufficiali hanno ulteriormente peggiorato la situazione.
Cosa c’è al centro della vicenda?
In base all’Accordo per il commercio e la cooperazione (Tca) successivo alla Brexit i pescatori francesi possono continuare a pescare tra le 6 e le 12 miglia dalle coste britanniche e al largo di Guernsey e Jersey fino al 2026, purché in possesso di una licenzia discrezionale rilasciata da Londra.
Per ottenere la licenza i pescatori devono dimostrare di aver già pescato in quelle acque tra il 2012 e il 2016, ma i due paesi sono in disaccordo a proposito delle prove da presentare e della quantità di attività passata necessaria per aver diritto alla licenza.
La Francia sostiene che per la zona tra le 6 e le 12 miglia e al largo di Guernsey e Jersey siano state assegnate appena 210 licenze sulle 454 richieste. Le autorità francesi riferiscono che soltanto venti imbarcazioni sulle 112 di Boulogne hanno il permesso di pescare in quell’area.
Il Regno Unito, invece, sostiene di aver rilasciato 1.700 licenze, approvando il 98 per cento delle richieste arrivate dall’Unione europea. Ma il dato comprende anche le licenze per la pesca nella zona economica esclusiva britannica, tra 12 e 200 miglia dalla costa, che in base ai termini del Tca sono rilasciate automaticamente.
Il nocciolo della questione è che nelle zone contese (da 6 a 12 miglia e attorno a Jersey e Guernsey) il Tca stabilisce quali imbarcazioni hanno diritto alla licenza in base alla loro attività passata, ma non fornisce dettagli sulle prove richieste.
Quali sono le minacce dei due fronti?
Secondo la Francia le regole imposte dal Regno Unito e dalle autorità di Jersey e Guernsey sono ingiuste nei confronti delle piccole imbarcazioni, che di solito non posseggono un equipaggiamento Gps che possa dimostrare la loro presenza passata in acque britanniche. Londra fa presente di avere diritto a chiedere tutte le prove che ritiene necessarie.
Il 1 novembre il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto di riprendere il dialogo, facendo marcia indietro rispetto alla minaccia di un divieto di attracco per le imbarcazioni britanniche in alcuni porti francesi e di un aumento dei controlli delle licenze, dei carichi, delle procedure doganali e delle condizioni igieniche a partire da martedì.
Entrambi i paesi sembrano convinti che l’altro abbia violato o sia sul punto di violare i termini del Tca.
Il 31 ottobre il ministro francese per gli affari europei Clément Beaune aveva dichiarato che il Regno Unito non ha voluto concedere “un numero significativo di licenze” e sta “prendendo di mira un paese”. Secondo Beaune non si tratta di “una questione tecnica, ma di una scelta politica e di una violazione del Tca”.
Il giorno dopo, la ministra degli esteri britannica Liz Truss ha concesso alla Francia 48 ore per ritirare le sue “minacce del tutto irragionevoli”, sottolineando che in caso contrario il Regno Unito potrebbe “utilizzare i meccanismi previsti dall’accordo commerciale per reagire”.
Come si evolverà la situazione?
Dipende da come andrà la trattativa, da quali provvedimenti verranno eventualmente presi dalla Francia e da come il Regno Unito deciderà di rispondere. È possibile che uno dei due paesi, o entrambi, attivino il processo di risoluzione delle dispute sul Tca.
Se fosse dimostrato che uno dei due paesi ha infranto le regole del Tca, il paese in questione dovrà conformarsi alla sentenza in un periodo ragionevole di tempo se non vuole rischiare che il paese vincitore dell’arbitrato ritiri i benefici previsti dal Tca.
Considerata la retorica adottata da Francia e Regno Unito e l’evidente vantaggio politico interno garantito da un atteggiamento aggressivo su temi di questa natura, è difficile immaginare un abbassamento della tensione in tempi brevi. I 27 non sono entusiasti all’idea di imbarcarsi in una guerra della pesca con il Regno Unito, ma al contempo si sta diffondendo sempre di più la sensazione che Londra tiri la corda un po’ troppo spesso.
In tutto questo ci sono anche i danni creati dalle traduzioni forzate. Il 31 ottobre Boris Johnson ha citato una lettera inviata dal primo ministro francese Jean Castex alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che a suo parare conteneva una richiesta di “punire” il Regno Unito.
Altre fonti riferiscono che la lettera chiedeva all’Unione di “arrecare danno” al Regno Unito. In realtà la frase potrebbe essere tradotta più correttamente in questo modo: “È fondamentale mostrare all’opinione pubblica europea che il rispetto degli impegni presi non è negoziabile, e che l’uscita dall’Unione europea provoca sicuramente più danni rispetto alla permanenza.”
Certo, il concetto è stato formulato in modo inappropriato, ma è già stato espresso da molti leader europei dopo il referendum sulla Brexit.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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