Quando nel 2020 portò davanti a una corte federale la ministra dell’ambiente del suo paese, l’Australia, Anjali Sharma andava ancora al liceo. Tre anni prima, dodicenne, era rientrata a Melbourne da un viaggio in India, dov’era nata, piena d’angoscia: aveva visto gli effetti delle temperature roventi causate da ondate di calore senza precedenti e quelli delle piogge monsoniche eccezionalmente abbondanti, e si sentiva responsabile. Responsabile e impotente.

Aveva fatto ricerche online, visto decine di video e scoperto che quei fenomeni, con cui i suoi familiari dovevano misurarsi, erano collegati al cambiamento climatico. Doveva fare qualcosa. E dopo aver organizzato gli scioperi degli studenti per il clima nella sua città, insieme a sette coetanee citò in giudizio “a nome di tutti i giovani australiani” Sussan Ley, titolare del dicastero dell’ambiente del governo conservatore di Scott Morrison in procinto di approvare l’espansione di una miniera di carbone nello stato del New South Wales.

La class action, nota come “Sharma v ministero dell’ambiente”, finì in primo grado a favore delle giovani attiviste. Il tribunale riconobbe il principio del duty of care, cioè il dovere della ministra di proteggere le giovani generazioni dai danni del cambiamento climatico, che progetti come quello della nuova miniera avrebbero aggravato. Due anni dopo, però, il governo fece appello e vinse. Non perché secondo la corte non sussistesse il dovere di proteggere i giovani, ma perché non toccava a un tribunale stabilire un principio simile, era compito del parlamento. Per Sharma e le compagne fu una doccia fredda, ma ormai la via era tracciata.

Arrivata a Canberra per studiare legge, Sharma ha trovato come alleato un senatore del suo collegio, l’indipendente DavidPocock, che si è fatto promotore di una proposta di legge elaborata insieme a lei. Le ragioni di Sharma e delle sue compagne, che fanno campagna per promuovere la proposta dalla stanza del dormitorio universitario dove la ragazza vive, non fanno una piega: “Alla fine sono i giovani a dover sopportare il peso del cambiamento climatico. E se i nostri interessi non sono presi in considerazione, non possiamo essere certi che avremo la possibilità di godere di ciò che il mondo può offrirci nello stesso modo in cui lo hanno fatto le generazioni che ci hanno preceduto”.

A breve la commissione del senato che sta analizzando la proposta di legge darà il suo parere. Il governo federale australiano, guidato ora dai laburisti, ha un centinaio di domande di progetti per la produzione di combustibili fossili in attesa di approvazione e a quanto pare non intende appoggiare la proposta di emendamento alla legge sul cambiamento climatico, che imporrebbe ai decisori il dovere di tener conto dell’impatto delle loro scelte sulla salute e il benessere dei giovani. “Non è il meccanismo giusto”, si è sentita dire Sharma.

L’Australia è uno dei più grandi inquinatori per numero di abitanti e il terzo esportatore di combustibili fossili al mondo e, nonostante gli impegni presi a livello globale, non ha ridotto finora in modo significativo le emissioni. L’arrivo dei laburisti al governo nel 2022, grazie anche a un programma incentrato sulla lotta alla crisi climatica, ha portato un miglioramento nell’impegno di Canberra in merito, ma per il duty of care i tempi non sembrano essere ancora maturi. Sharma assicura che la sua campagna non finisce qui.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia

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