Da quasi due anni ormai conviviamo con il sars-cov-2. Lo conosciamo meglio rispetto al passato. Sappiamo che può scatenare malattie sia acute sia croniche, che si diffonde meglio al chiuso, che le mascherine contribuiscono a bloccarlo, che i nostri vaccini sono in grado di contrastarlo. Sappiamo che possiamo conviverci, che dovremo farlo, ma che questo potrà avere – e avrà – un costo pesante.

Questo virus ha ancora la capacità di sorprenderci, soprattutto se non facciamo attenzione. Cambia di continuo, modificando qui e là pezzetti del suo codice genetico. A volte questi aggiustamenti danno vita a un nuovo pericolo. Nel giro di poche settimane la variante delta ha messo fine alla relativa pace che si respirava negli Stati Uniti all’inizio dell’estate e ha dato il via a una nuova serie di calcoli su rischi, mascherine e tamponi. La fase finale della pandemia è stata rimandata.

I vaccini funzionano come dovrebbero? Chi sono adesso le persone più vulnerabili? Quali nuove varianti potrebbero emergere? La nostra estate perduta ha aggiunto ulteriori ansie alla vita pandemica. A queste domande è possibile dare alcune risposte chiare. Anche dopo gli ultimi aumenti e diminuzioni di casi, la nuova realtà pandemica persisterà fino a primavera, mentre aumenta il tasso di vaccinazioni e il virus continua a cambiare. Ecco cinque princìpi che ci stanno aiutando a capire la pandemia in questo momento.

Il ruolo dei vaccini è cambiato (di nuovo)

I vaccini contro il covid-19 sono nati per prevenire la forma grave della malattia. E lo stanno facendo benissimo. Ma per pochi, brevissimi mesi abbiamo pensato che avrebbero potuto farlo ancora meglio. I risultati sorprendenti dei testi clinici dei vaccini della Pfizer e della Moderna ci hanno fatto sperare che questi vaccini ci avrebbero protetto dalla malattia sintomatica, e che sarebbero stati efficaci quanto i vaccini contro la poliomielite e il morbillo, che hanno eliminato la trasmissione di quelle malattie.

Fin dall’inizio però gli esperti hanno avvertito che immunizzarsi contro le malattie respiratorie è particolarmente difficile. Il coronavirus si stabilisce prima di tutto nel naso e le somministrazioni di vaccino per via intramuscolare non sono l’ideale per stimolare l’immunità nel naso (ma sono comunque ottime per accrescere l’immunità nei polmoni e proteggerli così contro la forma più grave della malattia). I vaccini antinfluenzali per esempio tendono ad avere un’efficacia compresa tra il 10 e il 60 per cento nel tenere la gente fuori dallo studio di un medico. Se i vaccini contro il covid-19 dessero dei risultati paragonabili, preverrebbero i ricoveri e i decessi, ma il coronavirus continuerebbe a circolare.

Tre soglie da tener presenti
Tenuto conto della capacità della variante delta di eludere in parte i vaccini, cosa che si combina con la sua estrema trasmissibilità, sembra ancora una volta questo lo scenario più probabile. Perciò ancora una volta ci tocca adeguare le nostre aspettative.

I vaccini funzionano più come regolatori dell’intensità che come pulsanti di accensione o spegnimento, e a mano a mano che la protezione offerta svanisce ci sono tre soglie a cui possiamo prestare attenzione: la protezione contro l’infezione, quella contro i sintomi e quella contro la malattia grave. La protezione contro le infezioni è sempre la prima a diminuire, o a causa di nuove varianti o a causa della diminuzione nel tempo delle risposte immunitarie.

Con la variante delta assistiamo a contagi tra persone vaccinate, che però tendono a presentare sintomi lievi o possono perfino essere asintomatiche

La protezione contro i sintomi è la seconda a venire meno, mentre la protezione contro la malattia grave è quella che dura di più (ancora non è chiaro quanto i vaccini siano efficaci nel prevenire il cosiddetto covid lungo, sebbene una ricerca recente abbia rilevato come un ciclo completo di vaccino possa diminuire il rischio di sintomi duraturi).

È uno schema già visto: con la variante delta assistiamo a infezione di persone vaccinate, che però tendono a presentare sintomi lievi o possono perfino essere asintomatiche. E soprattutto quando il numero di casi aumenta – come sta accadendo adesso in molte parti degli Stati Uniti – sono ancora più necessari livelli di protezione non farmaceutici, come una ventilazione migliore delle stanze e l’uso delle mascherine, per proteggere persone come i bambini più piccoli, ancora non vaccinati. Vaccinare il maggior numero possibile di persone e farlo il più rapidamente possibile rappresenta tuttora il modo più efficace per controllare il virus. Possiamo vedere già adesso quanto i vaccini stiano funzionando bene.

La proporzione di persone vaccinate è importante, ma è altrettanto importante sapere chi sono queste persone e a quali gruppi appartengono

La variante delta ha provocato una nuova ondata di casi anche nei paesi con le più alte percentuali di vaccinati, ma la successiva ondata di ricoveri è stata in generale molto più modesta. Per esempio nel Regno Unito, dove l’estate scorsa il 66 per cento delle persone sopra i sedici anni aveva ricevuto un ciclo completo di vaccini, i casi avevano raggiunto l’80 per cento del picco invernale, mentre i ricoveri sono aumentati meno del 25 per cento. Come hanno dichiarato i funzionari sanitari del Regno Unito, i vaccini stanno “spezzando il legame” tra i contagi e i ricoveri.

Negli Stati Uniti il quadro appare diverso. Ospedali sovraccarichi mandano via i pazienti, l’ossigeno è in esaurimento e ancora una volta si vedono letti ammassati nelle sale conferenze e nei bar. Sembra un déjà vu, anche se il 54 per cento degli statunitensi è a sua volta completamente vaccinato.

La differenza tra il Regno Unito e gli Stati Uniti non sta solo nel fatto che sono meno gli statunitensi vaccinati. Il punto è che sono meno gli statunitensi fragili vaccinati che a loro volta tendono a raggrupparsi.

Il rischio di morire o di finire in ospedale per il covid-19 aumenta sensibilmente con l’età, e nel Regno Unito quasi tutti gli over 65 sono vaccinati. Da un’analisi del New York Times emerge che sono pochissime le zone dove più del 2 per cento degli abitanti ha più di 65 anni e non è completamente vaccinato. Questo numero supera invece il 10 per cento in molte contee degli Stati Uniti del sud e delle zone montuose occidentali. Perfino piccole differenze in queste percentuali possono determinare il livello di crisi: una comunità in cui il 10 per cento di abitanti è rappresentato da anziani non vaccinati ha di fatto il quintuplo di persone che potrebbero aver bisogno di un posto letto in terapia intensiva rispetto a una comunità in cui quel numero non supera il 2 per cento.

Negli Stati Uniti la copertura vaccinale varia inoltre in modo sensibile da contea a contea. Più sono concentrate le persone non vaccinate, più è facile per il virus trovare la sua prossima vittima. Immaginate una famiglia in cui tre persone su quattro sono vaccinate; è poco probabile che la persona non vaccinata diffonda il virus in casa, osserva Graham Medley, esperto di previsioni sulle malattie infettive alla London school of hygiene & tropical medicine. Immaginate adesso che tre famiglie su quattro siano completamente vaccinate: il virus si diffonderà nelle famiglie non vaccinate. Il tasso complessivo delle persone vaccinate è lo stesso, ma i risultati sono molto diversi. Questa mancanza di uniformità significa anche che…

Il tipo di persone più a rischio di contrarre il virus continuerà a cambiare

I vaccini hanno di fatto spostato sul piano della comunità il rischio che il virus rappresenta per noi. Le persone più anziane e gli operatori sanitari sono stati i primi a essere vaccinati, ed è stata una decisione pratica per proteggere quelle che per condizioni di salute o lavoro erano tra le più vulnerabili. I più giovani della comunità però se la sono dovuta vedere con un programma più lento e i produttori di vaccini stanno ancora cercando di capire i dosaggi corretti per i più piccoli. Tutto questo ha spostato il fardello del virus verso l’età più giovane, sui bambini non vaccinati. Al tempo stesso il virus ha continuato a evolversi in forme sempre più veloci; quando la variante delta ha colpito il mondo la scorsa primavera, molti dei suoi possibili ospiti erano a rischio non a causa della loro età o delle loro condizioni, ma nonostante questi fattori.

I bambini continuano a sembrare relativamente resilienti rispetto al sars-cov-2 in confronto agli adulti, come è sempre stato. Diversamente dalle varianti precedenti, però, la delta si diffonde più rapidamente e dunque rappresenta una minaccia più grave per chiunque non sia vaccinato, il che significa che oggi i bambini sono più a rischio di prima.

Il rischio relativo continuerà a spostarsi, anche se il virus dovesse in qualche modo smettere di mutare e diventare una minaccia statica (cosa che non accadrà). I ricordi del coronavirus conservati dal nostro sistema immunitario, per esempio, potrebbero affievolirsi, probabilmente nel corso degli anni, e l’immunizzazione contro virus simili ha qualcosa da insegnarci. Persone oggi completamente vaccinate potrebbero in seguito dover fare un richiamo. Nasceranno bambini che non hanno mai avuto contatti con il coronavirus, mentre le persone immunizzate moriranno di vecchiaia. E anche tra chi è vaccinato ci saranno differenze: alcune persone, tra cui quelle con il sistema immunitario moderatamente o gravemente compromesso, potrebbero non riuscire a rispondere positivamente ai vaccini come le altre. Continueranno a cambiare le nostre prime supposizioni sul tipo di persone più vulnerabili al virus o che si ammaleranno di covid-19.

Con il progredire delle vaccinazioni, una proporzione sempre più alta di casi si manifesterà in persone vaccinate, ed è proprio ciò che dovrebbe accadere.

A luglio, dopo un focolaio di covid-19 a Provincetown, nel Massachusetts, un articolo del Washington Post osservava che tre quarti delle persone contagiate erano vaccinati. Nel corso dell’estate molti articoli hanno riportato dati simili, sempre con lo stesso preoccupante sottinteso: se i vaccini funzionano, come mai le persone vaccinate rappresentano una parte così rilevante di un’epidemia?

La risposta è semplice: può succedere se queste persone vaccinate sono una parte rilevante di una popolazione. Anche se hanno molte meno probabilità di ammalarsi rispetto alle non vaccinate, rappresenteranno comunque una parte rilevante dei contagi, dei ricoveri e dei decessi se il loro numero crescerà.

Facciamo un po’ di conti. Supponiamo innanzitutto che i vaccini abbiano un’efficacia del 60 per cento nella prevenzione delle infezioni sintomatiche (le informazioni su questo dato sono molte e in conflitto tra loro, ma il numero preciso non è molto importante ai fini di questo esercizio). Le persone vaccinate hanno meno probabilità di ammalarsi, ma con l’aumento della loro proporzione all’interno della comunità, cresce anche la percentuale di infezioni che si verifica all’interno di questo gruppo. Se il 20 per cento delle persone è completamente vaccinato, queste ultime rappresenteranno il 9 per cento dei contagi; al tempo stesso, l’80 per cento delle persone non vaccinate rappresenterà il 91 per cento dei contagi. Adesso ribaltiamo i dati. Se solo il 20 per cento delle persone non è vaccinato, i contagi complessivi diminuiranno. Ma gran parte di questi contagi, ossia il 62 per cento, sarà quello di persone vaccinate, che adesso rappresentano la maggioranza.

Ecco perché questo dato in particolare, ossia la proporzione di persone vaccinate in una data epidemia, è particolarmente fuorviante. “Più si diffonderà il vaccino, più questo dato farà paura”, ha scritto Lucy D’Agostino McGowan, statistica della Wake forest university. Per estensione, più le comunità diventeranno sicure, più sembrerà che il cielo ci stia crollando addosso se continueremo a concentrarci sui dati sbagliati.

“Se stai cercando di decidere se vaccinarti o no, non ti va di considerare la percentuale di ammalati che erano vaccinati”, ha scritto McGowan. “Preferisci considerare la percentuale di persone che erano vaccinate e che poi si sono ammalate”.

Notare la parola “percentuale”. A luglio un servizio di Nbc News titolava “Almeno 125mila americani completamente vaccinati sono risultati positivi” al coronavirus. Preso da solo, il dato era preoccupante. Rappresentava però solo lo 0,08 per cento dei 165 milioni di persone completamente vaccinate all’epoca. Di recente la Duke university ha riportato che 349 studenti erano risultati positivi in una sola settimana, un dato che rappresenta il 2,5 per cento su più di 14mila studenti controllati. I denominatori sono importanti.

In calcoli di questo tipo, inoltre, i denominatori cambiano e si trascinano dietro i numeratori verso l’alto. A mano a mano che un picco cresce, cresce di conseguenza il numero di persone contagiate, il che significa che crescerà anche il numero di contagi tra persone vaccinate. Anche se la percentuale di questi ultimi contagi dovesse rimanere stabile, tuttavia, i vaccini sembreranno meno efficaci se si permetterà alla pandemia di infuriare fuori controllo, perché…

Gli eventi rari diventano comuni se considerati su vasta scala

Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, i commentatori hanno minimizzato una grande varietà di rischi correlati alla pandemia perché “rari” – tra gli altri, decessi, covid lungo (che in realtà non è raro affatto), contagi e sindrome infiammatoria multisistema tra i bambini. Tuttavia le malattie infettive si diffondono, e se lo fanno a un livello sufficientemente ampio eventi relativamente rari possono dare vita a grandi numeri: un evento che si verifica con una proporzione di uno su mille casi accadrà 40mila volte se a essere contagiate sono 40 milioni di persone. Eventi di questo tipo non possono essere ignorati, soprattutto se implicano decenni di salute persa o la morte.

Con la diffusione delle epidemie, emergono sempre più tipi di eventi rari. Una pandemia più ampia è anche una pandemia più strana. Tanti aspetti del covid-19 – la portata dei sintomi e degli organi colpiti, la possibilità di malattie persistenti, le reinfezioni – sono comuni ad altre malattie virali, ma non si notano perché la maggior parte delle malattie non colpisce tutto il mondo in un breve lasso di tempo. Analogamente, con il persistere dell’attuale ondata postvaccino, le infezioni tra persone vaccinate appariranno sempre più comuni, i giornali avranno più storie da raccontare sull’argomento e un numero crescente di persone conoscerà qualcuno che si è contagiato pur essendo vaccinato.

La nostra reazione a questi eventi deve tenere conto sia del denominatore sia del numeratore, cioè di quanto siano relativamente comuni e il loro costo per ciascun individuo colpito. E questa valutazione cambierà seguendo le oscillazioni della pandemia e le mutazioni del virus stesso.

Non esiste un’unica versione “peggiore” del coronavirus

Come in ogni partita, per determinare chi è l’avversario più temibile occorre tenere conto di chi gioca e della natura del campo. In questo momento la delta, una variante supercontagiosa che salta nelle vie respiratorie degli umani, si replica e va a colpire altrove, ha tutte le carte in regola per diffondersi rapidamente tra la popolazione in larga parte non vaccinata o non immunizzata, ed è esattamente quello che sta facendo. L’allentamento dell’uso delle mascherine, del distanziamento e di altre misure di prevenzione dei contagi, soprattutto negli Stati Uniti, le hanno offerto molte opportunità di saltare da un umano all’altro, alimentando ulteriormente la sua ascesa. La variante per il momento gode quanto più le è possibile dei vantaggi di giocare in casa.

Tuttavia la strategia ideale, dal punto di vista del virus, potrebbe avere caratteristiche completamente diverse nel caso di una popolazione con un livello molto più alto di immunità. Risposte immunitarie forti e veloci impediranno al virus di cavarsela solo grazie alla velocità. In queste circostanze una versione più furtiva del virus, in grado di schivare gli anticorpi senza essere notata, potrebbe essere quella vincente. L’obiettivo del virus sarà ancora diffondersi, ma lo farà con mezzi diversi: mutazioni che lo rendano meno visibile lo aiuteranno a restare più a lungo nelle vie respiratorie e a contagiare nel frattempo potenzialmente molte più persone. Mentre il mondo gradualmente si immunizza, varianti come la delta potranno conoscere queste trasformazioni più astute. È probabile però che queste transizioni avvengano in gradi diversi nei diversi paesi, a seconda di chi ha accesso ai vaccini. La definizione “più minacciosa” si frammenterà lungo le frontiere (il coronavirus ha comunque meno incentivi a diventare nel frattempo più letale: i virus vogliono diffondersi, non uccidere. Tuttavia alcuni patogeni possono diventare più antipatici dal punto di vista sintomatico come conseguenza indiretta di una maggiore trasmissibilità, o nel caso in cui questi sintomi ne facilitino la diffusione).

Tutte le varianti però avranno in comune una debolezza: possono essere fermate attraverso la combinazione di misure come i vaccini, le mascherine, il distanziamento e altre, finalizzate a bloccare i canali di cui hanno bisogno per spostarsi. Quando i virus si diffondono più velocemente può essere più difficile controllarli. Ma non possono resistere senza di noi, e anche il nostro comportamento ha la sua importanza.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.

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