Una volta, dopo aver usato un’auto di Uber, sono stata indecisa se dare una valutazione di quattro stelle – che consideravo adeguata – o di cinque, come probabilmente l’autista si aspettava. Alla fine ho scelto cinque stelle e ho chiuso l’app, contenta di aver risolto un piccolo dilemma morale. Poco dopo mi è arrivato un messaggio sul telefono che mi chiedeva di valutare la mia esperienza sul cambio dell’olio dell’auto. Il giorno dopo ho rifiutato educatamente di sottopormi a un questionario telefonico di gradimento che sarebbe durato “solo quattro o sei minuti”. Mi dispiace, ma sono stanca di dare feedback e valutazioni.
Le aziende ripetono continuamente che “il tuo feedback è importante”, ma lasciare il nostro parere non sempre porta un vero cambiamento. Anzi, questa continua richiesta spesso trasforma le valutazioni in un gesto meccanico, facendomi sentire come un ingranaggio del sistema.
L’interesse per il feedback può essere fatto risalire al congegno che diede il via alla rivoluzione industriale, il regolatore di Watt per il motore. Riflettere su quel congegno e le origini meccaniche, ormai perdute, del feedback può aiutarci a gestire meglio l’attuale sistema di valutazione dei servizi.
Il concetto di feedback è presente fin dall’antichità, ma è diventato fondamentale da quando l’ingegnere scozzese James Watt scoprì come imbrigliare la potente ma irregolare forza del vapore. Controllando la velocità della macchina, il regolatore di Watt permetteva di sprecare meno carburante. Se la macchina andava troppo veloce, il regolatore diminuiva la quantità di vapore nel motore, mentre quando la macchina rallentava, il regolatore aumentava il flusso di vapore per mantenere costante la velocità. Il motore a vapore di Watt consumava un terzo di energia in meno rispetto ai suoi predecessori, e diede lo slancio definitivo alla rivoluzione industriale.
Il feedback negativo è un feedback buono, in realtà, perché migliora l’efficienza e il rendimento
Oggi l’energia a vapore non è più molto usata, ma il sistema del feedback è diffuso ovunque. Si ricorre ai regolatori per controllare la velocità dei propulsori degli aerei mentre sono in volo, per evitare il surriscaldamento delle luci dei ventilatori da soffitto, per limitare la velocità delle automobili. Molto tempo prima dell’arrivo del termometro connesso della Nest con i suoi sensori domotici, i termostati analogici usavano il sistema dei feedback per mantenere una temperatura confortevole.
Allora, come ha fatto il feedback a trasformarsi da congegno per regolare il comportamento dei motori a strumento per il servizio clienti delle aziende? Nel 1948 Norbert Wiener coniò l’espressione “cibernetica” per indicare la scienza che studiava i sistemi di controllo automatici, ispirandosi alla parola greca kybernetes, “governo”.
Tutto è informazione
Wiener ampliò la definizione di feedback, trasformandolo in un “metodo generico per controllare un sistema” che usa le prestazioni passate per migliorare le prestazioni future. Il ciclo di feedback, o ciclo di retroazione, si rifà direttamente al regolatore di Watt, ma invece che come energia Wiener intendeva il feedback nel senso più ampio di informazione. La sua ipotesi era che ogni macchina riceve “informazioni dal mondo esterno” e le elabora “mediante le capacità di trasformazione interne all’apparato” per renderle utili al sistema. Il flusso d’acqua, la velocità del motore, la temperatura: tutto è informazione.
La cibernetica prometteva l’utopia dell’autoregolazione sistemica. E secondo Wiener il ciclo di feedback poteva spiegare qualunque sistema: non solo i motori o i termostati, ma anche cose come l’identità, l’economia di mercato e il sacro romano impero.
Perfino le persone per lui erano riducibili a strutture guidate dai feedback, “un tipo particolare di macchine”. Gli esseri umani, come le macchine, possono modificare il loro comportamento imparando dai successi o dai fallimenti del passato. Per questo Wiener riteneva che il ciclo di feedback fosse una delle prove della capacità di adattamento dell’essere umano: il più importante “uso umano” del potere nell’era delle macchine, scriveva.
L’accento sul controllo
La popolarità della cibernetica è venuta meno negli anni settanta, ma le sue intuizioni sopravvivono ancora oggi. A partire dagli anni cinquanta, il settore della gestione d’impresa ha adottato l’idea di feedback come pratica integrale per il mondo degli affari. Stafford Beer, fondatore della cibernetica del management, sosteneva che “se la cibernetica è la scienza del controllo, il management è la professione del controllo”. Rimettere l’accento sul controllo, invece che sul miglioramento come faceva Wiener, richiama l’intuizione di Watt sulla regolazione del vapore. Una delle prime e più interessanti applicazioni di cibernetica del management offerti da Beer standardizzava un sistema complesso per dimezzare i costi energetici della produzione di acciaio.
Approcci come quelli di Watt e Beer, tesi a far funzionare un sistema all’interno di parametri predefiniti, sono esempi del cosiddetto feedback negativo. Non si tratta di un feedback pessimistico o cattivo, ma di un metodo che aiuta il sistema a mantenere il controllo. In termini cibernetici tradizionali, il feedback negativo non è una valutazione negativa (una stella su cinque), ma un’informazione che aiuta il sistema a regolarsi. Perciò, a dispetto del nome, il feedback negativo è buono, in realtà, perché migliora l’efficienza e il rendimento, proprio come nel caso del regolatore di Watt.
Un’informazione critica e specifica è utile a migliorare un sistema
Il feedback positivo, all’opposto, continua ad alimentare il sistema senza ulteriori controlli. In generale andrebbe evitato: non useremmo un termostato che tiene accesi i termosifoni anche se rileva che la stanza è calda.
Ma oggi, nell’uso comune, il significato dei feedback si è ribaltato. Le valutazioni positive sono diventate una sorta di Santo Graal su siti come Yelp e TripAdvisor, mentre basta un pugno di recensioni negative ad affossare una piccola azienda in ascesa o un ristorante a conduzione familiare. Questo slittamento del lessico ha generato un fraintendimento su come funziona il feedback. La struttura originale della regolazione dell’informazione è andata perduta.
Fateci caso: il proliferare dei sistemi di valutazione non produce per forza dei ristoranti o degli alberghi migliori. Quello che fa, piuttosto, è creare omogeneità tra le varie offerte, perché tutti vanno nelle strutture con le valutazioni migliori, che ottengono così stelline su stelline e continuano a salire nelle classifiche. Più che di una verifica della qualità, il feedback è diventato uno strumento che genera monotonia.
Slegato dal suo significato cibernetico, il feedback positivo si è convertito in una valutazione dei servizi forniti invece che essere una misura del rendimento del sistema. Queste misurazioni di qualità, infatti, non hanno più un ciclo su cui retroagire, sono scollegate dal sistema che dovrebbero valutare. Fluttuano nel mondo, stelline, voti e commenti generati in risposta al bisogno inesauribile di ulteriori feedback, e non al servizio di risultati migliori.
Inseguire le valutazioni ci allontana sempre di più dal senso originario del feedback meccanico: un’informazione critica e specifica è utile a migliorare un sistema. Ai clienti viene chiesto di condividere pensieri, opinioni, esperienze e consigli che sembrano avere tutti lo stesso significato, e le aziende cercano di accumulare quanti più feedback di questo tipo riescono. L’app DropThought, per esempio, promette di “catturare feedback ovunque, con un semplice clic sullo smartphone”. Qualsiasi pensiero, qualsiasi risposta diventa importante.
Prendere in considerazione feedback di qualsiasi tipo da qualsiasi fonte riduce la capacità di regolare il sistema
Nella pagina web di DropThought si legge che “un feedback istantaneo significa un consumatore felice”. L’unica misura di qualità è la rapidità con cui affluiscono le recensioni. Per le aziende è importante ricevere feedback, ma la loro natura – ovvero le persone che lo danno, la rilevanza della loro opinione e la qualità dell’informazione – sembra non interessare a nessuno. E se le persone volessero cose diverse? E se i loro desideri fossero stati fraintesi?
Non tutti i feedback sono uguali. Il regolatore di Watt usava una forma di feedback negativo specifico per quel sistema: la temperatura. Il resto non era rilevante ai fini della sua funzionalità, tantomeno sapere se le persone apprezzassero l’estetica del motore. Wiener ci aveva già avvertito che un buon feedback non è semplicemente un flusso di dati numerici. Il miglioramento si verifica solo quando l’input è adattato allo “schema di rendimento” del sistema, ossia quando il feedback è calibrato perfettamente sul sistema. In altre parole, “il ciclo si chiude” solo quando l’informazione ricevuta dal sistema è in sintonia con l’ambiente.
La passione per il feedback fine a se stesso ci ha portato inavvertitamente a dimenticare l’intuizione fondamentale del regolatore per macchine a vapore: il fatto che il feedback deve essere specifico. Prendere in considerazione feedback di qualsiasi tipo, da qualsiasi fonte, riduce la capacità di autoregolazione del sistema. Questo non significa che opinioni, stellette e recensioni non siano utili. Ho trovato utili alcune recensioni di libri su Amazon, e Yelp mi ha consigliato buoni posti dove mangiare il ramen. Ma quel genere di feedback – variabile, disordinato, non verificato – non si traduce facilmente in un miglioramento complessivo del sistema. È troppo legato ai sentimenti e alle passioni dell’utente. Forse il problema non è che i cicli di retroazione sono disumanizzanti, ma che non lo sono abbastanza.
Quindi, se le valutazioni su una scala da uno a cinque non sono automaticamente utili, che genere di feedback lo sarebbe? Il feedback ben calibrato che si focalizza sul sistema che deve regolare supererà sempre lo sbarramento di recensioni arrabbiate o entusiaste che non centrano il punto. Invece che cantare le lodi delle valutazioni di ogni tipo, app e siti di recensioni dovrebbero quindi mirare a ottenere solo quelle informazioni che sono necessarie a migliorare il funzionamento del sistema.
Questo approccio svela anche alcuni dei limiti etici del feedback com’è inteso oggi. Dopo una serie di scandali, l’azienda di car sharing Uber ha introdotto un metodo nuovo e più rapido per raccogliere feedback: far valutare la corsa prima ancora che sia terminata. Uber promuove la scelta come segno dell’umanità dell’azienda: “Non vogliamo perderci nemmeno un’occasione per ascoltare e migliorare”. Dare un parere non è la stessa cosa che essere ascoltati. Incoraggiare gli utenti a sparare valutazioni, specialmente quelle che hanno conseguenze tangibili – per esempio sulla possibilità per un autista Uber di guadagnarsi da vivere – ha l’effetto di trasformare le opinioni in informazioni. Un’informazione di questo tipo retroagisce sul sistema a prescindere dalla sua qualità, e a farne le spese sono i lavoratori della gig economy e i proprietari di piccole attività.
La meccanizzazione può sembrare una cosa cattiva, all’apparenza, ma i suoi effetti possono essere umanizzanti. Non confondiamo il feedback con l’ascolto. Mettere un like non è la stessa cosa che “far sentire la nostra voce”. Significa solo introdurre rumore nel sistema. Raccogliere meno informazioni, ma più rilevanti e di qualità, può produrre risultati migliori. E potrebbe anche mettere fine all’esaurimento da feedback continuato, di sicuro un miglioramento da cinque stelle.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale.
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