Quando il covid-19 ha colpito l’Europa, l’impennata del numero di morti e gli ospedali sovraffollati della Lombardia hanno fornito un cupo esempio ai paesi vicini dell’Italia. Nelle ultime settimane, invece, il paese offre una strada alternativa e ottimistica: mentre Spagna, Francia e Regno Unito sono alle prese con un aumento delle infezioni dopo aver allentato le limitazioni del confinamento, l’Italia ha tenuto sotto controllo la malattia.
I nuovi casi quotidiani sono in crescita: 1.535 rispetto alle poche centinaia di giugno, quando sono state rimosse le prime limitazioni. Ma la cifra va confrontata con gli oltre diecimila nuovi casi al giorno in Spagna e Francia. La vita ha un sapore di normalità in buona parte del paese: ristoranti e bar sono aperti, le persone si godono le gite al mare di fine estate e i bambini sono tornati a scuola.
Gli esperti sottolineano tre ragioni principali alla base della resilienza dell’Italia.
Il vantaggio di chi fa la prima mossa
Secondo Fabrizio Pregliasco, virologo presso l’Università di Milano, “l’Italia è in una condizione migliore di altri paesi come Regno Unito, Spagna e Francia perché siamo stati tra i primi al mondo a fare i conti con l’uragano covid-19”. Il sistema sanitario e il governo hanno avuto più tempo per pianificare la loro risposta postconfinamento, e l’allentamento delle limitazioni è stato più graduale, consentendo alle istituzioni di avere una maggiore agilità nel reintrodurle quando necessario.
Il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha continuato a ricordare agli italiani di rimanere vigili. Lo stato d’emergenza legato al covid-19 in Italia gli permette di governare per decreto, il che ha permesso al suo governo di reagire prontamente all’aumento di nuovi casi in estate. Al contrario lo stato d’allerta in Spagna, che garantiva al governo centrale poteri d’emergenza sulle regioni, è cessato il 21 giugno.
Ad agosto Roma ha ordinato la chiusura delle discoteche e introdotto una regola che impone d’indossare le mascherine in tutti i luoghi affollati tra le sei di sera e le sei del mattino. Queste misure, inizialmente in vigore per un mese, sono state prolungate di altri trenta giorni all’inizio di settembre. Le aziende sono state invitate a prolungare in autunno gli accordi per il lavoro a distanza mentre il governo garantisce a quanti lavorano da casa la stessa copertura assicurativa di cui godevano sul posto di lavoro. Quelle che hanno riaperto devono seguire protocolli severi, alcune aziende includono l’obbligo d’indossare la mascherina tutto il giorno, controlli quotidiani della temperatura corporea, distanziamento fisico e tamponi per rilevare il covid-19.
Alto rispetto delle regole e misure più severe d’applicazione
I funzionari della pubblica sanità sottolineano l’elevata accettazione delle limitazioni, tra le quali l’obbligo d’indossare mascherine nei negozi e nei mezzi pubblici. I clienti di bar e ristoranti devono indicare i loro nomi e numeri di telefono, una misura perlopiù rispettata durante l’estate. Secondo uno studio effettuato dall’Imperial College di Londra, l’84 per cento degli italiani interpellati si è dichiarato “molto o piuttosto disposto” a indossare una mascherina su consiglio del governo. Nel Regno Unito ad affermarlo è solo il 76 per cento delle persone.
Sanzioni per chi viola le regole
Alla fine di agosto i mezzi d’informazione italiani hanno scritto che un uomo di 29 anni ha ricevuto una multa di quattrocento euro per essersi rifiutato d’indossare una mascherina vicino alla fontana di Trevi, a Roma, e aver dichiarato ai poliziotti che il “covid non esiste”. Le aziende possono essere ritenute responsabili per le infezioni da covid-19 nate nei loro locali e i dipendenti possono esigere risarcimenti.
Solo nella giornata del 21 settembre la polizia ha controllato 50.602 persone e 4.939 aziende, multando 227 individui e disponendo la chiusura di tre imprese. “Gli italiani rispettano maggiormente le misure di distanziamento sociale e quelle volte a evitare la trasmissione del virus. Anche nelle attività commerciali più piccole tutte le misure sono osservate molto scrupolosamente”, sostiene Andrea Cristanti, professore di microbiologia all’Università di Padova.
Il comportamento individuale, anche se difficile da quantificare, ha avuto un ruolo importante, spiega Luca Lorini, direttore del reparto di pronto soccorso in un ospedale di Bergamo. “Siamo passati dall’essere il paese più colpito a uno dei più virtuosi nella gestione della pandemia, grazie alla chiarezza delle regole fin dai primissimi momenti e alla volontà di tutti di rispettarle”.
Test e monitoraggio efficaci
Secondo Crisanti la risposta della sanità pubblica non si è limitata a effettuare test di massa, ma ha anche operato un’efficace sorveglianza, tracciando chiunque sia entrato in contatto con una persona infettata. Attualmente circa il 2 per cento dei test in Italia dà un risultato positivo, contro circa il 13 per cento di quelli effettuati in Spagna, il che suggerisce che nel paese iberico il virus sia molto più diffuso.
“Quando c’è un caso positivo, testiamo tutte le persone che potrebbero essere entrate in contatto con la persona infetta. Il vero problema dell’epidemia sono i casi asintomatici: se non li intercetti, non se ne esce”, spiega Crisanti. Ad agosto, quando in Sardegna, popolare destinazione turistica per gli italiani, è emerso un focolaio del virus, e l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi e l’imprenditore della Formula Uno Flavio Briatore hanno contratto il virus sull’isola, le autorità hanno introdotto un sistema di test effettuati direttamente in auto al porto di Civitavecchia, il principale snodo per i traghetti dell’Italia continentale. I casi positivi sono stati isolati molto più velocemente, evitando che l’epidemia in Sardegna si diffondesse in altre regioni.
Anche se in pochi vogliono sfidare il destino in vista dell’inverno, in molti confidano che gli sforzi dell’Italia potranno servire a mantenere sotto controllo il virus. “Se gli italiani, che finora sono stati molto diligenti nei confronti delle misure adottate, continueranno a rispettarle, saremo probabilmente in grado di gestire la situazione e di abituarci a coesistere col problema fino all’arrivo del vaccino”, dice Pregliasco.
Hanno contribuito all’articolo Silvia Borrelli a Milano, Daniel Dombey a Madrid, Adrienne Klasa a Londra e Victor Mallet a Parigi.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico Financial Times.
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