A Venezia il livello delle acque si è leggermente abbassato e la vita quotidiana ha ripreso il suo normale corso. Dopo giorni di paura e solidarietà, scanditi dalle maree e dalle sirene d’allarme, quattro episodi di acqua alta e soprattutto la piena dantesca nella notte tra il 12 e il 13 novembre gli abitanti della laguna potrebbero avere un po’ di tempo per tirare il fiato.
Quali lezioni bisogna trarre da questa catena drammatica di eventi, che ha ricordato ai veneziani, all’Italia e al mondo intero che la Serenissima non è immortale? A Pellestrina sono morte due persone, ma i danni nel centro di Venezia sono soprattutto materiali. Edifici inondati, impianti elettrici fuori servizio, negozi costretti a chiudere: i danni ammontano a centinaia di milioni di euro e secondo alcune stime potrebbero superare il miliardo. Numerosi edifici sono stati compromessi, ma non si è scatenato alcun incendio grave e nonostante le sofferenze patite, una volta di più, dalla basilica di San Marco, l’immenso patrimonio artistico della città non ha subìto nessun danno irreparabile.
L’acqua granda del 4 novembre 1966 – 194 centimetri rispetto ai 187 del 12 novembre scorso – aveva certamente provocato danni maggiori, mandando in rovina centinaia di famiglie e mettendo in ginocchio l’economia della città. Ma allora Venezia era stata presa di sorpresa. Da allora ha avuto più di mezzo secolo per prepararsi, eppure non è stata in grado di limitarne le conseguenze. L’acqua alta del 12 novembre è tutto tranne che una catastrofe naturale.
Il Mose degli scandali
Negli anni settanta il governo italiano ha sottoposto la città al regime previsto da una “legge speciale”, che permette di finanziare generosamente la valorizzazione delle vie e degli edifici, pubblici o privati. Allo stesso tempo si è cominciato a immagine un cantiere faraonico, quello delle dighe galleggianti del Mose, avviato nel 2003 e a oggi incompiuto.
L’esplosione dei costi di quest’impresa smisurata (sei miliardi di euro spesi, per ora totalmente in perdita) ha prosciugato le risorse disponibili per la città stessa, mentre nel 2014 un gigantesco scandalo di corruzione ha seminato dubbi su tutto il cantiere e portato all’arresto di molti dei suoi ideatori.
Per questi motivi lo stato d’animo che domina a Venezia è la collera. Malgrado gli spettacolari sforzi degli abitanti per ripulire la città e soccorrere i più colpiti, poche persone ricorderanno che, anche nel momento peggiore della crisi, Venezia non si è fermata. Le immagini di una città sommersa saranno sicuramente più forti. Il turismo, principale risorsa della città da almeno tre secoli, rischia di essere pesantemente colpito.
Oggi i veneziani chiedono risposte e le amministrazioni che si sono susseguite faranno fatica a scagionarsi dalle proprie responsabilità in questo disastro, che si aggiungono all’incapacità generale di mettere fine all’ingresso delle navi da crociera nella laguna, diventate simbolo universale dei disastri del turismo di massa.
Venezia è fragile. Il governo italiano deve dimostrare di aver preso le misure alla minaccia e agire il più rapidamente possibile, perché tra cinquant’anni o prima non succeda l’irreparabile. È compito suo evitare la scomparsa di questo tesoro inestimabile.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano francese Le Monde.
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