Durante l’ultimo attacco a Gaza ho ricevuto la telefonata di H., un mio amico di Nablus. Era preoccupato: suo figlio di 16 anni era stato arrestato nel corso di una protesta, e il mio amico non sapeva dov’era. Mi sono data da fare e ho scoperto che se ne stava occupando lo studio legale del mio amico Gabi Laski a Tel Aviv.

H., un veterano dell’attivismo più volte arrestato, ha cercato di mantenere la calma. D’altronde non poteva pretendere che suo figlio non si comportasse come lui alla sua età. La storia si ripete, ha pensato. Beh, non esattamente: con grande sorpresa di H., la polizia lo ha invitato ad assistere all’interrogatorio di suo figlio (unico minorenne tra gli otto arrestati) in una stazione di polizia in un insediamento in Cisgiordania.

“Questo non succedeva ai miei tempi”, ha commentato H. Il ragazzo è stato rilasciato senza accuse dopo due notti in prigione, il doppio del periodo massimo di custodia (24 ore) consentito per un minorenne israeliano. In realtà la polizia avrebbe potuto trattenere il ragazzo per 96 ore. Fino all’anno scorso la discriminazione era ancora più macroscopica: per la legge militare israeliana un minorenne palestinese poteva essere trattenuto per otto giorni in prigione prima di essere condotto davanti a un giudice.

Il piccolo passo avanti è il risultato di una lunga battaglia legale condotta da alcune organizzazioni per i diritti umani. Ma la discriminazione resta: per i palestinesi si applica la legge militare, per gli israeliani quella civile.

Traduzione di Andrea Sparacino

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