Lunedì e martedì la vicenda di una capra e dei suoi due piccoli ha dato luogo a una serie di telefonate urgenti ed email. Sabato e domenica un campo non irrigato è stato al centro di altre telefonate concitate. Altri giorni può essere un albero, una perdita dal tetto, una cisterna o un permesso di lavoro revocato.
Da qualche tempo un gruppo di attivisti israeliani antioccupazione mi chiama per chiedermi di rivolgere alcune domande alle autorità militari. Lunedì i soldati sono stati visti mentre confiscavano la capra e i suoi piccoli a un pastore chiamato Malek. Nel fine settimana un gruppo di coloni e soldati ha fatto irruzione nel campo di Mohammed, a sud di Betlemme.
Qualche settimana fa i soldati hanno impedito a un abitante di Hebron di completare la costruzione di un tetto. Gli attivisti passano molto tempo insieme ai pastori e agli agricoltori. La sera tornano nelle loro case di Gerusalemme, ma il loro cuore resta in Cisgiordania. Sperano che una domanda formale possa rimediare alle ingiustizie, che un articolo possa fermare l’ordine di demolire una cisterna o di abbattere degli ulivi.
Ho passato più tempo di loro a combattere l’occupazione, e ormai non credo più nel potere immediato di un’inchiesta giornalistica. Quindici anni fa una domanda poteva causare un certo imbarazzo tra i funzionari. Oggi è solo una perdita di tempo. Ma non posso deludere gli attivisti e i palestinesi vittime di questa malvagità senza confini.
Traduzione di Andrea Sparacino
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