Mercoledì mattina ho trovato sul cellulare un messaggio inviato a notte fonda: “L’esercito ha fatto irruzione nella casa di Saddam Abu Sneina. L’hanno picchiato e poi hanno arrestato suo fratello”. Il mittente è un attivista palestinese di Hebron, in Cisgiordania.

Abu Sneina è il giovane di Hebron di cui vi ho parlato la settimana scorsa (un video in cui lo si vede minacciato da un soldato israeliano ha suscitato grandi polemiche su internet). Due settimane fa, quando sono andata a trovarlo, non voleva raccontarmi il suo arresto e i maltrattamenti subiti perché temeva ritorsioni. Alla fine io e altri attivisti l’abbiamo convinto che la pubblicità è una forma di protezione. Così ho potuto ricostruire la vicenda su Ha’aretz e scrivere anche un editoriale in cui ricordo che la violenza dei soldati è un fenomeno ricorrente e serve a sostenere la politica coloniale israeliana.

Sul sito di Ha’aretz abbiamo pubblicato il video, che mostra due attivisti palestinesi mentre chiedono, con tono fermo ma tranquillo, a due soldati e due coloni di uscire dalla loro proprietà. I soldati reagiscono usando un linguaggio offensivo e minacciando i palestinesi. Il video è stato visto da tantissime persone, ma i commenti sono quasi tutti favorevoli ai soldati e pieni di insulti contro di me.

Gli insulti non mi fanno effetto, ma la notizia dell’aggressione ad Abu Sneina mi ha turbato profondamente. Temo che siano stati i miei articoli a spingere i soldati a vendicarsi nel modo più facile, lontano dalle telecamere.

Traduzione di Andrea Sparacino

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it