Corruzione, abuso di potere e divulgazione di segreti di stato: dopo diciotto mesi di voci incontrollate sul suo destino e indagini collaterali sulle persone a lui vicine, Zhou Yongkang, l’ex zar della sicurezza e del petrolio cinesi, è stato ufficialmente incriminato. Da oggi è in attesa di un processo che, come di regola nella Repubblica popolare, lo vedrà certamente colpevole. Tutti si aspettano che gli sarà riservata una punizione esemplare: è il funzionario più alto in grado mai incriminato dai tempi della Rivoluzione culturale. Durante la scorsa legislatura (2007-2012) era uno dei nove componenti del Comitato permanente del politburo, l’organo che di fatto guida il paese e il suo miliardo e 400 milioni di abitanti.
È così che il governo di Xi Jinping infrange la principale regola non scritta che ha sotteso l’avvicendarsi dei leader cinesi dai tempi della morte di Mao. Dopo il periodo di purghe feroci che aveva contraddistinto gli anni della Rivoluzione culturale, la classe dirigente cinese decise tacitamente di non indagare più al suo interno. Ma negli ultimi due anni, da quando è diventato presidente, Xi Jinping ha fatto della lotta alla corruzione la sua bandiera, ripetendo in più occasioni: “Colpiremo sia le mosche sia le tigri”.
Xi ha condotto la sua campagna attraverso la Commissione centrale per le ispezioni disciplinari, guidata dal suo compagno di lunga data Wang Qishan. Poiché la Commissione è un organo interno al partito, la sua attività è avvolta da totale segretezza. Agisce sugli esponenti del partito attraverso lo shuanggui, una detenzione extragiudiziale a tempo indeterminato senza una procedura stabilita. I funzionari colpiti da shuanggui in teoria devono semplicemente mettersi a disposizione dell’indagine interna, ma di fatto vengono costretti a confessare qualunque crimine, con conseguente espulsione dal partito e consegna al pubblico ministero. Solo nel 2014 ha colpito 71.748 funzionari.
Zhou Yongkang è stato visto l’ultima volta in pubblico i primi di settembre del 2013. Da allora di lui non si è più saputo nulla fino a oggi, ma nel frattempo sono cominciati gli arresti di suoi familiari e amici. Ha fatto scalpore il reportage della rivista Caixin sul funerale di un suo fratello: nessun uomo della famiglia era presente, tutti caduti nelle maglie dell’anticorruzione. E insieme ai familiari sono finiti sotto inchiesta anche gli alti gradi dell’esercito vicini a Zhou e gli alti funzionari della China national petroleum corporation (PetroChina), il colosso di stato con il monopolio del gas naturale del paese.
Per stringere le maglie intorno a Zhou ci sono voluti diciotto mesi e solo oggi che la tigre praticamente non ha più denti, si passa al processo. Ma quello che molti temono è che l’ex zar della sicurezza non sia altro che il dente di una tigre ancora più potente. Da quando Xi Jinping ha fatto saltare le convenzioni, nessuno si sente più al sicuro.
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