Terni sembra avere un’infatuazione per san Valentino. Gli igloo natalizi di plastica sono stati a malapena impacchettati che in piazza Tacito già compaiono delle luminarie a forma di cuore per annunciare l’evento principale di febbraio. Il Cioccolentino, che dura dieci giorni, è abbinato al festival della Promessa, in cui un vescovo benedice le coppie di fidanzati. Sul cinquecentesco palazzo Spada campeggia la scritta in inglese “Terni in love”.
Negli ultimi anni i leader di Terni hanno puntato molto sul turismo. San Valentino nacque qui nel terzo secolo dopo Cristo e morì da martire il 14 febbraio 273. Tuttavia, le feste e le rievocazioni storiche in onore del santo non sono così antiche: gli sforzi per monetizzare questa figura sono decollati solo negli anni novanta. La basilica conserva le spoglie di san Valentino, ma il marchio Città dell’amore sta ancora lottando per imporsi su un’altra identità, che ha lasciato un segno più visibile.
Dalla fine dell’ottocento Terni è stata infatti una città dell’acciaio, soprannominata la Manchester italiana. Pur essendo lontana dal triangolo industriale del nord, attirava immigrati dalle regioni vicine, che diedero anche vita al suo primo movimento operaio. Qui i socialisti raggiunsero il 73 per cento dei consensi nel 1920, prima del fascismo. La produzione d’acciaio di Terni era strettamente intrecciata al settore della difesa, alimentato da due guerre mondiali. Così Terni diventò nota come una città operaia e di sinistra.
Lo storico Alessandro Portelli è cresciuto qui. I suoi studi si basano su centinaia di interviste a persone comuni per capire come si forma la memoria storica. In una biografia di Terni del 1985 ha esplorato come questi territori abbiano acquisito un’identità operaia. Racconta vicende come quella di Luigi Trastulli, un operaio siderurgico di ventun anni ucciso durante una protesta, diventato un martire per molti più popolare perfino di san Valentino.
Portelli mostra anche come siano nate delle leggende all’interno del movimento operaio locale. Gli intervistati gli hanno raccontato con commozione che Trastulli fu ucciso in scontri con la polizia durante un combattuto sciopero del 1953 contro i licenziamenti nel settore della metallurgia. In realtà morì durante una protesta del 1949 contro l’adesione dell’Italia alla Nato. È quasi come se, nella ricostruzione della memoria, la sua morte fosse stata adattata meglio a una storia in cui la classe operaia di Terni difendeva la propria esistenza. Ma oggi, a quanto pare, l’identità della città dell’acciaio non è più così esaltante.
L’ultimo libro di Portelli, Dal rosso al nero (Donzelli 2023), racconta una realtà diversa: quella che il sottotitolo definisce “la svolta a destra di una città operaia”. Alle elezioni amministrative del 2018 il partito più votato in città è stato la Lega, che per la prima volta ha vinto in un grande centro al di fuori del suo cuore settentrionale. Fino al 1990 i comunisti erano il partito più grande: oggi le forze di sinistra esistono a malapena. Come mai la città dei lavoratori si è disamorata della sinistra?
Le responsabilità del centrosinistra
Uno dei motivi è il forte calo dei posti di lavoro nell’industria siderurgica e l’incapacità di arrestare una serie di ridimensionamenti e privatizzazioni cominciata negli anni ottanta. Secondo Portelli, se una volta questa era una “città-fabbrica” ora è “una città che, come tante altre, ha dentro anche una fabbrica, da qualche parte”. L’acciaieria ha ancora qualche migliaio di dipendenti, ma sono una minoranza all’interno di una forza lavoro frammentata attraverso i subappalti. Una recente tornata di licenziamenti ha visto molti operai dell’acciaieria, più di quanti i dirigenti avessero immaginato, accettare una buonuscita di 60mila euro.
Non è che i lavoratori si siano arresi. Portelli parla di “dieci anni di lotte operaie straordinarie”, dallo sciopero del 2004 contro la chiusura del reparto specializzato nella produzione d’acciaio magnetico sotto i nuovi proprietari della ThyssenKrupp allo sciopero di 44 giorni del 2014. I blocchi stradali, le assemblee quotidiane degli operai — ma anche i fischi contro i leader sindacali nazionali — hanno dimostrato una militanza che resiste. Eppure, spesso sembra che l’industria sia già destinata a un percorso di declino gestito.
È importante ricordare che al governo, durante la vertenza del 2014, c’era un partito di centrosinistra. All’epoca il presidente del consiglio era Matteo Renzi, oggi a capo di una forza liberale di centro. Il suo esecutivo ha portato avanti riforme che hanno reso più precario il mercato del lavoro, come il cosiddetto Jobs act. In una specie di confronto quasi diretto tra il centrosinistra neoliberista e quella che una volta era la sua base, una persona intervistata da Portelli dice che “ha fatto più danni il Partito democratico che Berlusconi”.
Ma è significativo che l’accusa di aver abbandonato Terni sia rivolta non solo ai neoliberisti, ma anche alla sinistra e ai rappresentanti sindacali, soprattutto quelli non locali. Portelli racconta di una perdita del linguaggio degli operai. I lavoratori delle acciaierie, che un tempo erano “l’avanguardia del cambiamento sociale”, ora si ritrovano a essere semplici soggetti da compatire: i “deboli”, i “fragili”, “‘gli ultimi’ in una società intrinsecamente e inevitabilmente disuguale”.
I comizi di esponenti della destra a Terni sono invece descritti come eventi che generano entusiasmo. Matteo Salvini è acclamato mentre parla alla pancia, denunciando i padroni non della fabbrica ma del politically correct. La giornalista Anna Maria Rengo paragona i cori durante quelle manifestazioni a una partita di Champions league. Portelli spiega: i tifosi non si considerano spettatori passivi, ma un “dodicesimo uomo in campo” al fianco della propria squadra. Lo storico cita un’intervista a un operaio un tempo di sinistra, secondo cui le piazze gremite per Salvini suscitano le stesse emozioni che un tempo suscitavano i raduni comunisti.
Chi si vuole comprare la città
Tuttavia, il passaggio “dal rosso al nero” va contestualizzato. Le elezioni politiche del 2022 a Terni hanno rispecchiato il risultato nazionale, con la coalizione di destra che ha ottenuto quasi la metà dei voti. Ma se l’elettorato operaio si è frammentato, non è chiaro se si sia riformato in un blocco nazionalista. Portelli fatica a ottenere interviste con i lavoratori che hanno votato per la destra. Tra gli ex comunisti delusi sembra più diffuso il sostegno al Movimento 5 stelle.
Comunardo Tobia è un ginecologo e consigliere comunale dei cinquestelle. Figlio di un comunista, Tobia racconta a Portelli la preoccupazione dei suoi colleghi di partito per gli effetti inquinanti dell’acciaieria. Una linea che potrebbe aver allontanato alcuni lavoratori preoccupati per la chiusura della fabbrica. Ma Portelli suggerisce che quando i posti di lavoro nell’impianto sono diminuiti sono aumentate le critiche nei confronti della sua lunga eredità di inquinamento e tumori.
È un po’ sorprendente che questo libro non si concentri di più su uno dei principali sintomi del crollo dei partiti di massa e di classe: l’astensionismo elettorale. Alle elezioni amministrative del 1990 a Terni i vecchi partiti operai si mobilitarono e i comunisti presero 27mila voti, mentre i socialisti 17mila, su 78mila schede scrutinate. Al ballottaggio dello scorso maggio hanno votato solo 36mila persone: l’affluenza del 43 per cento è stata la metà di quella del 1990.
Anche questo dato esprime una volatilità più ampia. Per dirla con Portelli, “chi di protesta e antipolitica colpisce, di protesta e antipolitica perisce”: alle elezioni della scorsa primavera la coalizione di destra di Terni è stata sconfitta dall’ex parà Stefano Bandecchi. Non si trattava di un ritorno alla politica di classe. Piuttosto, secondo una persona del posto Bandecchi si è presentato come “un piccolo Berlusconi” – un anticonformista con “l’aura della concretezza imprenditoriale”, per citare Portelli – che avrebbe portato investimenti in città.
“Faremo di Terni una città turistica e daremo lavoro a tanti”, ha detto Bandecchi ai consiglieri lo scorso giugno, subito dopo la sua elezione a sindaco. Questo significava concentrarsi su “Terni, città di san Valentino”: “L’industria, l’acciaio, la chimica sono importanti e presto avremo incontri su questi fronti, ma come detto in campagna elettorale, dobbiamo aprire nuove strade e il turismo è fondamentale”.
Tuttavia, il comportamento di Bandecchi ha fatto finire Terni sui giornali per motivi diversi dal decoro di cui ha parlato diverse volte. A gennaio, durante un dibattito al consiglio comunale sulla violenza di genere, ha detto: “Un uomo normale guarda il bel culo di una donna e forse ci prova”. Spingendo anche l’opposizione di destra a denunciare il “comportamento volgare” e a chiedere le dimissioni del sindaco. La settimana scorsa Bandecchi le ha annunciate dopo appena otto mesi di mandato, dichiarando che “se dobbiamo avere un duce allora voglio essere io”. Il 16 febbraio le ha ritirate.
Crazy ass moments in italian politics è un popolare account su X (ex Twitter) che ha raccontato molte delle pagliacciate trumpiane di Bandecchi. Il suo amministratore mi dice che il sindaco “non è nato a Terni, ma ha conquistato potere in città comprando la squadra di calcio locale. L’impressione è che abbia usato la carica di sindaco per ‘fare carriera’, cercando ora una posizione più prestigiosa”. Portelli condivide un simile giudizio negativo, parlando di un Bandecchi che “è piombato in città con l’idea di comprarsela”.
Tra il tragicomico e l’inquietante, l’incarico di Bandecchi è un triste destino per una città che un tempo si vantava della sua identità operaia, ma che ora si conforma a una diversa antropologia imprenditoriale. Nel racconto di Portelli questa storia continua a vivere, ma sempre più coniugata al passato: un’eredità di sacrifici, e di continue denunce per la salute, che non ha prodotto il futuro che avrebbe voluto. Al suo posto arriva il kitsch dell’eterno passato, gli sgargianti cuori di plastica che conducono i turisti alle reliquie di san Valentino.
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