Domenica sera il mio affetto per l’Italia verrà duramente messo alla prova. La mia Inghilterra giocherà contro la vostra Italia per conquistare il campionato europeo di calcio. Confesso che fatico a mantenere gli standard di obiettività giornalistica richiesti da Internazionale.

Intellettualmente dovrebbe essere facile restare calmo. Dopotutto, nella mia esperienza gli inglesi e gli italiani si piacciono abbastanza. Abbiamo molto in comune. Entrambi i paesi hanno una forma bizzarra, la vostra popolazione è leggermente più numerosa della nostra (60 milioni contro 55). Sia noi che voi, in passato, abbiamo creato l’impero più grande del mondo. Come voi, anche noi ci fidiamo poco dei francesi e dei tedeschi. Se consideriamo le Alpi come un oceano onorario viviamo entrambi su isole, mentali se non reali. Amiamo le vostre città, le vostre campagne, i vostri cibi, il vostro vino, i film, il senso dello stile e la musica.

Voi amate i nostri… beh, mi piacerebbe sottolineare cosa amate di noi, ma se digito su Google “cose che gli italiani amano dell’Inghilterra”, mi escono risultati come “Dieci cose dei britannici che infastidiscono gli italiani”. È strano, perché i britannici che vivono in Italia sono soltanto 30mila, mentre gli italiani che vivono nel Regno Unito sono cinque volte più numerosi. Di sicuro non sono qui per il nostro clima o per il cibo. Sarà per via dei posti di lavoro.

Molti inglesi, dal Genoa al Milan
Una cosa che dovreste amare di noi è il ruolo degli inglesi nella fondazione di alcune delle vostre squadre di calcio più famose. I primi pionieri che portarono il gioco in Italia furono gli uomini che fondarono il Genoa Cricket and Athletics Club, che iniziò la sua storia calcistica nel 1897. Il più importante di loro era un medico inglese di nome James Richardson Spensley, che era anche il portiere della squadra. Un altro inglese, Norman Leaver, segnò il gol con cui il Genoa vinse il suo primo campionato italiano (non esattamente competitivo, dato che oltre alla squadra ligure partecipavano soltanto tre squadre di Torino).

Il dottor Spensley, che giocò in tutte e sei le formazioni del Genoa campione d’Italia, perse la vita nella Prima guerra mondiale, in cui fu impegnato come medico dell’esercito. Una via piuttosto trasandata nei pressi dello stadio Marassi della città ligure è dedicata a lui. Il Genoa vinse altri tre campionati, tutti alle dipendenze di William Garbutt, inglese nominato primo allenatore della squadra nel 1912. In seguito Garbutt allenò Roma, Napoli e Milan, prima che Mussolini decidesse di deportarlo.

È stato un inglese a fondare il Napoli e il Milan (motivo per cui il nome della squadra non è “Milano”). Il fondatore del Milan fu Herbert Kilpin, figlio di un macellaio. Fin da bambino Kilpin amava l’Italia e giocava in una squadra intitolata a Garibaldi (con tanto di casacche rosse) nella sua nativa Nottingham. Un giorno andò a lavorare (e a giocare) a Torino, poi si spostò a Milano, dove fu uno dei fondatori dell’A.C. Milan, nonché giocatore e allenatore. Sposò una donna italiana, morì a 46 anni e fu seppellito in una tomba ritrovata soltanto negli anni novanta del secolo scorso. Il Milan ha pagato per una nuova lapide.

Kilpin stabilì che i colori della squadra sarebbero stati il rosso e il nero, mentre a un altro inglese è dovuta la scelta del bianco e del nero per la Juventus. Le maglie della squadra, in origine, erano rosa, ma continuavano a scolorire. Così il club chiese a uno dei giocatori, un inglese di nome John Savage, se qualcuno in patria fosse in grado di fornire un’alternativa. Savage contattò un vecchio amico a Nottingham. Le casacche che arrivarono dall’Inghilterra erano a strisce bianche e nere, i colori del Notts County, la società di calcio più antica del mondo.

Dopo quella fase iniziale, il calcio italiano ha prosperato. Nel 1934 siete stati campioni del mondo. L’Inghilterra non partecipò a causa di una disputa con la Fifa sui pagamenti per i giocatori dilettanti. Questo significò che la nostra pretesa di essere i migliori del mondo non fu messa alla prova. La verifica arrivò nel novembre del 1934, in quella che resta (e lo sarà almeno fino a domenica) la più famosa partita di calcio tra Inghilterra e Italia.

A Londra l’incontro fu presentato come la “vera” finale mondiale. In Italia Mussolini offrì ai suoi giocatori una Alfa Romeo e l’equivalente di settemila euro in caso di vittoria. La partita fu brutale. Nel primo minuto l’Inghilterra sbagliò un rigore, dopo che il portiere italiano aveva fermato irregolarmente un attaccante inglese. Al secondo minuto il difensore centrale dell’Italia Luis Monti si procurò una frattura al piede in un contrasto. L’Inghilterra segnò tre gol. Monti fu costretto ad abbandonare il campo lasciando la sua squadra in dieci, e la partita diventò ancora più violenta. Il capitano inglese ne uscì con il naso rotto, un compagno con il braccio fratturato. L’Italia segnò due gol. Il possibile tiro del pareggio si stampò sulla traversa.

Domenica speriamo di assistere a uno spettacolo più edificante. E speriamo anche che Ciro Immobile attenda di essere davvero infortunato prima di rotolarsi per terra come se fosse stato falciato da una mitragliatrice. So che dovrei dire “vinca il migliore, giochiamo una partita nella migliore tradizione del fair play e bla bla bla bla”. Ma al diavolo questa roba. Voglio avere il piacere e l’onore di essere il primo giornalista nella storia dell’editoria italiana ad aver scritto, alla fine di un articolo su una partita di calcio dell’Italia, le parole “Forza Inghilterra!”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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