A dicembre il New York Times ha pubblicato un lungo articolo che racconta la storia di una valanga di neve. Un evento drammatico, carico di tensione, ma anche una dimostrazione delle capacità di reagire dello spirito umano. L’articolo, intitolato “Snow fall” (Nevicata), ha avuto un grande successo: nella prima settimana è stato visto da circa tre milioni di persone.
Molti lettori venivano da Twitter e Facebook e, fatto molto positivo per il New York Times, la maggior parte non erano lettori abituali del giornale. Ad attirarli non è stato solo il contenuto, ma il modo in cui era presentato. “Snow fall” è illustrato con grandi foto a tutto schermo di paesaggi innevati, animazioni topografiche delle montagne imbiancate, immagini radar di una tempesta di neve imminente e video di persone che descrivono la nevicata. Molti di questi elementi multimediali si attivano in automatico in modo che, scendendo lungo la pagina per leggere il lungo articolo, sembra di essere inghiottiti dalla neve.
“Snow fall” ha vinto un Peabody, un Pulitzer e ha suscitato grande entusiasmo. È stato definito un esempio perfetto di innovazione nel giornalismo digitale e ha ispirato molti tentativi di imitazione. Rolling Stone ha presentato un articolo in stile “Snow fall” sui ghiacciai della Groenlandia, Grantland ne ha pubblicato un altro su una gara di slitte trainate da cani di Iditarod e nel recente profilo dei Daft Punk pubblicato su Pitchfork il testo fluttua su fiamme in movimento.
Squilli di tromba
Ma “Snow fall” ha influenzato soprattutto il lavoro della redazione del New York Times: la testata ha deciso di mettere un redattore a dirigere una sezione dedicata a produrre progetti simili. Un articolo simile a “Snow fall” è stato pubblicato questa settimana con il titolo “The jockey” (Il fantino). È la storia, raccontata in 10mila parole, di un fantino: piena di video e animazioni, interessante in qualche passaggio, meno interessante in altri e un’altra storia edificante sulla tempra degli esseri umani.
Se avete l’impressione che non sappia molto sull’articolo è perché non l’ho letto. Ci ho provato, ma dopo qualche paragrafo lo schermo è stato aggredito da un’inutile introduzione video, con musica, squilli di tromba e immagini di repertorio di corse di cavalli. Mentre il video si caricava, ho cliccato altrove. Ho provato a tornare sull’articolo più tardi, ma c’era già in agguato un altro video. Come forse avrete indovinato, non ho letto neanche “Snow fall”. Ho fatto almeno una decina di tentativi, ma ogni volta lo trovavo troppo lungo e dispersivo. “The jockey” è anche peggio: con quei video che si intromettono continuamente, sembra fatto apposta per non essere letto. Al New York Times interessa veramente che io legga l’articolo o forse si aspettano che mi limiti a guardare le immagini?
La sperimentazione nel giornalismo online mi interessa molto e penso che i video, la grafica e le foto di grande formato arricchiscano il contenuto. Ma ho il sospetto che tra qualche anno guarderemo a “Snow fall” e progetti simili come oggi guardiamo alle animazioni di criceti ballerini che si facevano nei primi anni novanta: un eccesso legato a un’epoca in cui i web designer assecondavano la propria creatività solo perché avevano finalmente la tecnologia per farlo, e non perché la grafica aggiungesse significato a un racconto.
“Snow fall” nasce da un nobile obiettivo: aiutare la lettura online degli articoli lunghi (come ho già scritto, pochi lettori arrivano in fondo a un articolo). I grafici hanno arricchito la pagina di elementi pirotecnici convinti che, se i lettori sentono che l’attenzione sta diminuendo, avranno subito a disposizione qualche appiglio per recuperarla, ma invece travolgono il lettore in modo talmente asfissiante da farlo correre via in preda al panico.
Questo succede per due motivi. Innanzitutto, queste presentazioni hanno così tanti elementi multimediali che non si sa dove focalizzare l’attenzione. Inoltre i contenuti extra rimarcano la lunghezza del pezzo: solo gli articoli più lunghi sono elaborati come in “Snow fall”. Quando vedete che il grafico ha messo in campo tutti i mezzi a sua disposizione è chiaro che dovrete stare almeno mezz’ora a smanettare. Prima ancora che la storia vi abbia coinvolto, cominciate a considerare se valga la pena investirci tanto tempo. Ce l’avete mezz’ora da perdere proprio adesso? No, non ce l’avete. Siete al lavoro in pausa pranzo. A quel punto o passate definitivamente ad altro, oppure decidete di leggere l’articolo in un secondo momento usando Instapaper o Pocket e, in questo modo, eliminate tutti i contenuti multimediali.
Esempi positivi
Non credo di essere l’unico a nutrire una spiccata avversione per le storie confezionate in questo modo. Tempo fa ho chiesto su Twitter se qualcuno avesse veramente letto “Snow fall” fino in fondo. Solo cinque o sei persone hanno risposto di sì e mi hanno invitato a fare altrettanto. Le statistiche sul traffico riportate dal Times avallano questa teoria. Nella prima settimana i visitatori hanno trascorso in media dodici minuti sull’articolo: è un tempo infinito su internet, ma dodici minuti non bastano di sicuro per leggerlo fino in fondo.
Da quanto ho capito “The jockey” non ha riscosso lo stesso successo di “Snow fall”. Non è rimbalzato su Twitter o Facebook e non ha sfondato la classifica degli articoli più letti del New York Times. Immagino che sia perché si è esaurito l’effetto novità. Quello che ci sembrava straordinario l’anno scorso, adesso lo diamo per scontato e il modo in cui è confezionata una notizia non basta per farne parlare.
Per fortuna esistono modi meno esagerati di usare elementi multimediali nelle notizie: guardate Vox Media, i cui siti di sport e tecnologia presentano contenuti spettacolari in modo innovativo. Guardate l’articolo di The Verge sulla carne prodotta in laboratorio o quest’altro pezzo su Dick Trickle di SB Nation. Hanno entrambi grandi immagini e video, ma la grafica non è l’aspetto principale. Se il New York Times e altri siti sapranno imparare da questi modelli, avremo un esempio edificante della tempra umana – e io avrò finalmente voglia di leggere tutto fino all’ultima riga.
(Traduzione di Nicoletta Poo)
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