Silvia Pareschi, I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani
Giunti, 192 pagine, 15 euro
Silvia Pareschi, traduttrice italiana, tra i tanti, di Jonathan Franzen e Junot Díaz, abita a San Francisco. Nel libro I jeans di Bruce Springsteen racconta questa città vivace, narcisista, paradossale nel benessere e nella povertà. “Da quando sono arrivati i techies San Francisco non è più quella di una volta”, scrive Pareschi su Eatsa, un fast food a base di quinoa amato dal popolo della Silicon valley.
Da quando i ben pagati techies hanno invaso il mercato immobiliare, i prezzi stanno salendo alle stelle, i senzatetto si moltiplicano e i servizi pubblici peggiorano. Solo il Google bus privato per Mountain View arriva pulito e in orario. La diversità di cui una volta si vantava la città – l’orgoglioso popolo lgbt del Castro, gli hippy del Haight-Ashbury, il quartiere Fillmore, dove nella chiesa di St. John Coltrane si celebra A love supreme – rischia di scomparire. Quando l’autrice deve andare dal dentista, si presenta un altro incomodo, “la sanità americana con tutte le sue conseguenze ansiogene”. Nell’ultimo racconto, una Silvia molto giovane, in visita a New York, diventa proprietaria di un paio di jeans appartenuti, forse, al grande Bruce Springsteen. Ma come tante cose born in the Usa, non si è mai sicuri.
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