Quando sarebbe il caso di procedere con prudenza ci si precipita ad agire, e quando invece è il momento della determinazione si tentenna e si rimanda.
Il contrasto tra la reazione del governo britannico alla crisi siriana e a quella climatica non potrebbe essere più palese. Londra ha risposto a questi problemi in modo diametralmente opposto ma con la stessa sconsideratezza.
“Dobbiamo colpire i terroristi a casa loro e dobbiamo farlo adesso”, ha dichiarato il primo ministro David Cameron davanti al parlamento la scorsa settimana. La necessità di combattere il gruppo Stato islamico (Is) è incontestabile, ma farlo senza alcun obiettivo strategico chiaro è fuori da ogni logica.
I settantamila combattenti siriani su cui, secondo Cameron, si potrebbe fare affidamento possono anche esistere, ma la maggior parte di loro combatte Bashar al Assad in altre aree del paese. Davvero Cameron vorrebbe trasferirli, ammesso e non concesso che siano disposti ad abbandonare la loro battaglia? Dopo tutto il primo ministro ha ribadito (a ragione, credo) che “non sconfiggeremo mai l’Is se metteremo in dubbio la necessità di un’uscita di scena di Assad”. Eppure chiedendo ai ribelli anti-Assad di combattere un nemico diverso non faremmo altro che consolidare la presa del dittatore sulla Siria. Questo difetto nel piano è talmente ovvio che non dovrebbe neppure esserci bisogno di evidenziarlo.
Quante vittime civili Cameron considera accettabili in nome della guerra ai jihadisti?
Ma quali sono gli obiettivi dei raid aerei? E come faranno i nostri bombardieri a colpirli? I combattenti dell’Is si nascondono tra i civili rimasti a Raqqa. Quante vittime civili Cameron considera accettabili in nome della guerra ai jihadisti? Perché ci saranno vittimi civili, e probabilmente anche tante: i terroristi faranno in modo che questo accada.
Cosa spinge Cameron a credere che una campagna militare in un’area del mondo scoraggerà il terrorismo in altre zone del pianeta? Uno degli aspetti più sorprendenti dell’antiterrosimo è la totale assenza di valutazioni empiriche. Uno studio pubblicato su Psicothema ha evidenziato “una quasi completa assenza di ricerche sugli effetti delle strategie antiterrorismo. Concludiamo che la politica antiterrorismo non è basata su dati concreti”.
Delle undici campagne militari analizzate dallo studio, cinque non hanno avuto alcun impatto sui successivi atti terroristici, mentre le altre sei sono state seguite da un aumento degli episodi di terrorismo.
Per contrasto, non abbiamo bisogno di nessun’altra ricerca per capire che il cambiamento climatico è un problema urgente. Eppure in questo caso il governo di Cameron esita su tutti i fronti, o peggio ancora.
Il Regno Unito è l’unico paese del G7 ad aver aumentato in modo sostanziale le sovvenzioni per i combustibili fossili. Quest’anno il ministro delle finanze George Osborne ha assegnato altri 1,7 miliardi di sterline per l’estrazione di petrolio e gas dal Mare del Nord. Attraverso l’Infrastructure act del 2015, Cameron ha imposto al governo l’obbligo legale di “massimizzare la ripresa economica” del petrolio e del gas britannici. Al contempo il Climate change act del 2008 impone al governo di minimizzare la combustione di petrolio e gas, e questo crea una sorta di corto circuito legale. Ma a quanto pare nessuno ci fa caso.
In alcune zone del Medio Oriente le temperature supereranno i limiti accettabili per la sopravvivenza degli esseri umani
Cameron ha fermato lo sviluppo dei parchi eolici e delle grandi centrali a energia solare, e ora vuole che gli investimenti si concentrino sul gas. L’unico modo di combinare l’aumento della combustione del gas con il rispetto degli impegni presi per la lotta al cambiamento climatico sarebbe quello di immagazzinare e interrare l’anidride carbonica che ne deriva. Tuttavia, sette giorni dopo aver annunciato l’inizio della sua corsa al gas, il governo ha abbandonato il progetto basato sulla cattura e la conservazione dell’anidride carbonica. Ora la contraddizione di fondo è impossibile da risolvere.
Londra ha tagliato dell’80 per cento i fondi per l’efficienza energetica delle case, sta vendendo la Green investment bank, ha ridotto gli incentivi per l’acquisto di auto meno inquinanti e vuole costruire nuove autostrade. In questo momento il Regno Unito potrebbe raggiungere gli obiettivi fissati sul clima soltanto con un’inversione di rotta politica e con la costosissima chiusura degli impianti che Cameron cerca di commissionare.
Cameron promette di proteggerci dalle minacce globali, ma allo stesso tempo contribuisce ad aggravare una catastrofe le cui proporzioni fanno impallidire qualsiasi operazione dell’Is. Anche se venissero rispettate, le promesse fatte dai partecipanti alla conferenza sul clima di Parigi non cancellerebbero comunque il pericolo del riscaldamento globale. Ma la cattiva fede è contagiosa, e se altri governi ignoreranno gli impegni presi (come sta facendo Cameron) il risultato sarà ancora più disastroso.
Secondo uno studio pubblicato il mese scorso da Nature climate change, se il cambiamento climatico non sarà arginato entro la fine del secolo le temperature in alcune aree di Yemen, Arabia Saudita, Kuwait, Iraq e Iran “potrebbero raggiungere e superare” i limiti accettabili per la sopravvivenza degli esseri umani. Non è esattamente una buona notizia per la pace del mondo.
Cameron soffre della sindrome di Churchill, ovvero la convinzione che per essere un grande leader c’è bisogno di un grande conflitto
Durante il suo discorso sulla Siria, Cameron ha dichiarato alla camera: “La mia prima responsabilità come premier è quella di garantire la sicurezza del popolo britannico”. Ma allora perché ci espone a queste minacce? Perché, in un contesto così incerto, si lancia in una campagna di bombardamenti con grande passione, mentre nelle sue parole a proposito del cambiamento climatico (dove la necessità di agire è palese) non c’è traccia di convinzione?
I politici non fanno niente con entusiasmo, a meno che non sia qualcosa che hanno sempre desiderato (basta pensare all’ardore con cui George Osborne prosegue sulla via dell’austerità nonostante le sue giustificazioni iniziali siano state abbandonate). Cameron, come gli altri capi di governo, sembra soffrire della sindrome di Churchill, ovvero la convinzione che per essere un grande leader c’è bisogno di un grande conflitto. Diversamente da Tony Blair, Cameron non ha inventato la guerra a cui vorrebbe partecipare, anche se il suo coinvolgimento rischia di provocarne l’escalation.
Non c’è nulla di emozionante nel promuovere un’economia a emissioni zero, nulla che evochi l’immagine di un comandante temerario in sella al suo destriero con lo sguardo fisso sull’orizzonte. I provvedimenti necessari sono banali e poco eccitanti. Per conquistarsi un posto nella storia politica ci vogliono un po’ di esplosioni.
Se le energie impiegate negli ultimi 25 anni per bombardare altri paesi fossero state dedicate ai problemi ambientali del mondo, probabilmente adesso ci sarebbero molte meno crisi. Ma la soglia da superare per bombardare qualcuno è stata sempre molto bassa, al contrario di quella per la protezione della natura e dell’ambiente. È come se i governi fossero indifferenti alla vita e innamorati della morte.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito su The Guardian. Clicca qui per leggere l’originale.
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