Karl Polanyi, Per un nuovo Occidente
Il Saggiatore, 301 pagine, 22 euro
Secondo il sociologo e filosofo ungherese Polanyi non è vero che la guerra è sempre esistita. E nemmeno che è sempre il frutto dell’odio, della fragilità umana o dell’immoralità. In un saggio contenuto in questa bella raccolta di inediti, lo scopritore della “grande trasformazione” che alla fine dell’ottocento rese la nostra una società di mercato spiega che la guerra è un’istituzione, che come tale è impersonale, e che dunque può essere evitata solo riuscendo a creare istituzioni alternative.
Molte delle guerre, ragiona, sono guerre “non volute”, dovute allo sfracellarsi di uno stato che, creando un vuoto politico, rende le potenze circostanti all’improvviso tra loro confinanti “dal punto di vista del potere”. Mentre all’interno dello stato crollato il vuoto mette le fazioni l’una in lotta con l’altra, le potenze vicine cercano di capire come vanno le cose, inviando informatori, dando il proprio sostegno ad alcuni e puntando a controllarne altri. Con il tempo si infiltrano nel territorio e così, nel vuoto politico, le loro traiettorie si incrociano, giungendo a uno scontro.
Nel momento in cui gli Stati Uniti appaiono più incerti nel perseguire militarmente i propri interessi, invece di auspicare un presidente più forte, bisognerebbe considerare seriamente queste guerre che nessuno vuole e che invece, per inerzia, finiscono sempre per scoppiare, così da immaginare nuove istituzioni globali capaci di garantire la pace.
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