Wolf Bukowski, La danza delle mozzarelle
Alegre, 158 pagine, 14 euro
Questo libro fa capire quanto il rapporto con l’alimentazione sia una chiave importante per comprendere l’evoluzione della sinistra italiana degli ultimi trent’anni. Nel 1986, mentre nel Pci si cominciava ad auspicare un “paese normale”, da una sua costola nasceva Slow food che, indirizzando gli italiani verso il consumo di cibo più “buono, pulito e giusto”, ne incanalava la voglia di cambiamento sul piano dei consumi alimentari. Da allora l’idea ha avuto grande fortuna.
Tuttavia, come dimostrano i casi della Coop prima e di Eataly poi, l’idea del cibo di qualità è stata usata dalla grande distribuzione organizzata, la stessa che, mediante vari sistemi (la richiesta di sconti e l’imposizione di costi in più ai piccoli e medi produttori con la minaccia di cancellarli dalla lista dei fornitori), riesce a condizionare l’intero settore agroalimentare, costringendo i lavoratori a condizioni più dure e i consumatori a pagare di più.
Di questo si parla poco, forse perché gli italiani non sembrano interessati alla produzione e alla distribuzione del cibo, ma solo alla sua qualità. In nome di questa si decide di passare la domenica a scegliere quale farina acquistare e si finisce per lavorare gratuitamente per un evento come l’Expo 2015, che permette grandi speculazioni. Così, l’idea di passare a un cibo più buono, invece di migliorare la società, la sta nei fatti rendendo peggiore.
Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2015 a pagina 78 di Internazionale, con il titolo “Cattivo, sporco e ingiusto”. Compra questo numero | Abbonati
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