Non vale neanche la pena chiedersi se i computer stanno facendo perdere posti di lavoro alle persone. Certo che sì, e l’attuale ondata di rivolte politiche populiste nei paesi occidentali è una versione del luddismo aggiornata alle democrazie industrializzate. La vera domanda da farsi è: che tipo di posti di lavoro vengono distrutti? Il paradosso di Moravec aveva previsto la risposta quasi trent’anni fa.

In questo momento sono i posti di lavoro di medio livello che rischiano di sparire. Non le professioni o i posti di lavoro manageriali di alto livello, che richiedono sofisticate capacità sociali e intellettuali e che sono remunerate molto bene. E neppure i lavori sottopagati nel settore delle consegne o dei fast-food, anche se l’automazione finirà per eliminare anche questo tipo d’impieghi.

A ridursi velocemente sono invece i posti di lavoro a medio reddito e non troppo specializzati, che un tempo davano da vivere a un’ampia e prospera classe media. L’automazione rende più fragili le società occidentali, come prevedeva il paradosso di Moravec. Spesso chi è disoccupato da poco trova un altro impiego, ma generalmente nel settore dei servizi a basso reddito. Sono queste persone impoverite della classe medio-bassa e del segmento più alto di quella lavoratrice a ingrossare le file delle rivoluzioni populiste.

Sempre più spesso l’intelligenza artificiale scopre da sola quale dovrebbe essere il risultato e come ottenerlo

Negli anni ottanta Hans Moravec, un pioniere della ricerca sull’intelligenza artificiale, aveva osservato che “è relativamente facile fare sì che i computer abbiano prestazioni paragonabili a quelle degli adulti nei test d’intelligenza o giocando a dama, ma è impossibile attribuirgli le capacità percettive e motorie di un bambino di un anno”.

Il paradosso è che attività come i ragionamenti di alto livello che risultano complicate per gli essere umani sono facili per i robot dotati d’intelligenza artificiale. Abilità sensoriali e motorie semplici per un bambino di un anno, invece, sono assolutamente inarrivabili per i computer odierni. La cosa non dovrebbe sorprendere, in realtà: simili abilità negli esseri umani sono il prodotto di milioni di anni di evoluzione, e sono quindi perlopiù inconsce per noi.

E quindi i lavori nei quali i robot possono facilmente sostituirci sono quelli manageriali di medio livello e quelli manuali altamente ripetitivi, ovvero tutti quelli che potrebbe svolgere la classe media. Quel che rimane è un piccolo gruppo di ricchi (che possiedono i robot), una massa impoverita di persone che forniscono servizi di ogni tipo o non hanno alcun lavoro, e un livello di risentimento tra queste ultime che costituisce un eccellente carburante per le rivoluzioni populiste.

Questa visione distopica è molto comune oggi, come evidenziano bene la Brexit nel Regno Unito, l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, i successi elettorali dei neofascisti (anche se non proprio le vittorie) nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania. Lo stesso fenomeno ha buone probabilità di svolgere un ruolo importante nelle elezioni politiche di marzo in Italia.

E presto i robot saranno in grado di svolgere anche tutti gli altri lavori. Moravec e i suoi colleghi lavoravano con computer di trent’anni fa, macchine in realtà molto semplici e monocorde. L’intelligenza artificiale di oggi e di domani è installata su computer infinitamente più potenti, e che gli permettono attività molto diverse, come per esempio l’apprendimento profondo.

Le istruzioni per l’uso, dunque, non vengono più solo dall’alto (cioè dagli esseri umani). Sempre più spesso l’intelligenza artificiale scopre da sola quale dovrebbe essere il risultato e come ottenerlo, grazie all’apprendimento profondo, un processo empirico che per una macchina diventa possibile solo possedendo una capacità di analisi dei numeri infinitamente più grande di quella degli anni ottanta.

Il passo successivo è (tra le altre cose) un’intelligenza artificiale dotata di capacità motorie e sensoriali pari a quelle degli esseri umani. Non subito, naturalmente, ma verrà il momento.

Quando questo accadrà spariranno anche gli altri posti di lavoro, direte, e probabilmente sarà così per molti di essi. In questo modo anche gli esseri umani non serviranno più a niente, penseranno i più pessimisti, e forse è vero anche questo. Ma quest’ultimo esito è ancora una scelta, non è inevitabile.

Una nuova evoluzione umana
Un gran numero di specialisti dell’intelligenza artificiale sta lavorando oggi a quella che chiamano “intelligenza generale forte”, o agi. Piuttosto che insegnare a una macchina a usare una logica simbolica per rispondere a specifici tipi di domanda, stanno costruendo reti neurali artificiali e moduli d’apprendimento più o meno modellati sul cervello umano.

Il giapponese Hiroshi Yamakawa, uno dei massimi esperti di agi, individua due vantaggi di questo approccio. “Il primo è che, siccome stiamo creando un’intelligenza artificiale simile al cervello umano, possiamo sviluppare delle agi affini agli esseri umani. Detto in maniera semplice, credo che in questo modo sarà più semplice creare un’intelligenza artificiale con gli stessi comportamenti e sistemi di valori degli esseri umani. Anche se nel prossimo futuro la superintelligenza supererà l’intelligenza umana, sarà relativamente facile comunicare con intelligenze artificiali progettate per pensare come un essere umano, e questo sarà utile dato che umani e macchine continueranno a vivere e interagire gli uni con le altre”.

Vi sentite più tranquilli ora? Immagino di no. Quando si pensa al futuro ci sono sempre poche certezze. La maggior parte dei lavori sparirà prima o poi, compresi quelli manuali specializzati e quelli manageriali di alto livello che oggi sembrano sicuri. Dovremo abituarci alla cosa, come i nostri antenati hanno dovuto abituarsi a lavorare nelle città e non nei campi.

Ma forse i robot finiranno per essere i nostri colleghi, non i nostri padroni o successori. Perché questo accada dobbiamo sforzarci di cominciare subito a progettarli in questo modo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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