È arrivato il momento delle elezioni parlamentari in Egitto, le seconde dai tempi della rivoluzione del gennaio 2011. Finalmente. Tutti gli ingranaggi elettorali sono partiti. Le strade sono addobbate con poster, striscioni e cartelli, l’alta commissione elettorale lavora a pieno ritmo e la polizia, l’esercito e oltre mille persone dell’apparato giudiziario sono impiegate per garantire sia la sicurezza sia la supervisione giudiziaria delle votazioni.

La prima fase delle elezioni, che riguarda 14 province sulle 27 totali del paese, è quasi finita e si è svolta regolarmente, con pochi incidenti. C’è solo un piccolo dettaglio: gli elettori non si sono mostrati interessati.

I commenti oscillano tra chi condanna i cittadini per la mancanza di senso civico e chi offre spiegazioni assurde per la bassa affluenza

Dai mezzi d’informazione egiziani si levano lamenti e proteste accorate. Sia le star dei commenti, che hanno dominato una stampa controllata dagli oligarchi e/o dallo stato negli ultimi due anni, sia le schiere di “signor nessuno” che ne fanno parte occasionalmente, oscillano tra chi condanna i cittadini egiziani per la loro mancanza di senso civico e chi offre spiegazioni assurde per la bassa affluenza.

Una di questi, una consulente presidenziale, ha commentato l’astensione dei giovani dando la colpa alle loro madri. Un altro, una “stella del cinema”, in realtà piuttosto sconosciuta, ha accusato gli astenuti di tradimento, mentre alcuni importanti presentatori di talk show hanno sostenuto che sono stati l’amore e la fiducia degli elettori nei confronti del presidente Abdel Fattah al Sisi ad averli tenuti lontani dalle urne: dopo tutto, “a che serve un parlamento quando hai Sisi?”.

Altri hanno dato la colpa al caldo, mentre un conduttore televisivo si è lamentato che gli egiziani sono troppo impegnati a visitare siti porno su internet per recarsi alle urne.

Un parlamento controllato dai servizi segreti

Nel frattempo, i giovani astenuti hanno trascorso una giornata campale sugli unici mezzi di comunicazione a loro disposizione. Uno di loro ha dichiarato, in un post di Facebook, di aver deciso alla fine di andare alle urne: “Sono depresso e ho bisogno di stare da solo”, ha scritto sarcasticamente. Un altro ha esortato i vincitori a invitare a pranzo i loro elettori dopo la pubblicazione dei risultati.

Eppure l’assenza più palese e clamorosa di queste elezioni (almeno teoricamente) postrivoluzionarie non è stata tanto quella degli elettori ma quella della politica. Dall’inizio alla fine, in tutta questa baraonda, sarebbe difficile trovare un solo brandello di politica. Almeno questo, i mezzi d’informazione più affermati, in tutta la loro frenesia, sono stati costretti ad ammetterlo, dando la colpa come sempre ai “fallimenti dei partiti”, un vecchio adagio preso in prestito dai tempi di Mubarak.

Così, una candidata a un seggio provinciale ha potuto fieramente dichiarare a un giornale locale che non s’interessa, e non si è mai interessata, alla politica. “Voglio solo servire la mia circoscrizione”.

Un altro candidato provinciale ha esposto in strada uno striscione in cui promette di “sacrificare la corruzione e il clientelismo” per il bene della sua circoscrizione. Sameh Seif el Yazal, un ufficiale d’intelligence in pensione e leader della coalizione curiosamente ribattezzata “Per amore dell’Egitto”, ha promesso che il prossimo parlamento cercherà di emendare la costituzione al fine di ridurre i suoi poteri e le sue prerogative nei confronti dell’esecutivo.

Come si aspettavano quasi tutti, la prima fase del voto indicherebbe che proprio il partito “Per amore dell’Egitto” (controllato dai servizi segreti) dominerà il prossimo parlamento.

La rivoluzione egiziana non è stata in grado di riempire i vuoti di potere che lei stessa aveva creato

La depoliticizzazione dell’Egitto è stata forse l’unico risultato degno di nota ottenuto dal regime di Mubarak. La “desertificazione” dello spazio politico sotto Mubarak è ormai una formula molto comune nel dizionario politico del paese.

La rivoluzione egiziana, quasi per magia, aveva ricreato uno spazio politico nelle strade, ma non è mai stata capace di trasformare questo potere della piazza in potere istituzionale, che infatti è stato gestito e manipolato attraverso un accordo sottobanco, e molto conflittuale, tra l’esercito e i Fratelli musulmani.

Le manifestazioni rivoluzionarie hanno esercitato un’intensa pressione su questo nuovo “blocco di potere”, mostrando e aggravando le fratture al suo interno. Prima indebolendo l’esercito. Poi, attraverso il consiglio supremo delle forze armate (Scaf), rafforzando l’ambizione dei soci (inizialmente) minoritari, i Fratelli musulmani e i loro alleati, di ritagliarsi una fetta molto più grande della torta postrivoluzionaria. E infine annientando i Fratelli musulmani, per ridare forza a degli alleati militari incattiviti.

La fatica, il rimorso e il ritorno in piazza

La realtà è che nei tre anni d’incessanti attività, la rivoluzione egiziana non è stata in grado di farsi avanti e riempire i vuoti di potere che lei stessa aveva creato.

Era inevitabile che subentrasse la fatica, seguita dal rimorso. Una rivoluzione fallita finisce per essere considerata un esercizio futile anche da quelli che l’hanno resa possibile. Per tanti egiziani che per tre anni sono scesi in piazza, affrontando le pallottole, una polizia criminale e le milizie islamiste, anche se il paese sembrava sull’orlo del caos e l’economia sul punto di crollare, era giunto il momento di rifiatare.

Il prezzo di questa pausa (ovvero il ritorno della stabilità) è stato il pentimento, una lezione che la controrivoluzione, galvanizzata e rafforzata dalla perdita di vigore delle masse e dalla loro crescente disponibilità a consegnare tutto quanto a una sorta di “salvatore”, ha fatto riecheggiare nella loro testa negli ultimi due anni, letteralmente, giorno e notte.

Il messaggio lanciato è stato il seguente: siete stati ingannati e presi in giro da un manipolo di agenti al soldo di una cospirazione globale contro l’Egitto e che include Stati Uniti, Israele, Iran, Hamas, Hezbollah, i sionisti e i massoni di tutto il mondo. Il senso profondo del messaggio in realtà è un altro: non osate mai più ribellarvi contro i vostri padroni e signori. Pentitevi!

Era inevitabile che la sconfitta della rivoluzione si trasformasse in un annientamento della politica. Con queste elezioni parlamentari il messaggio è ormai diventato chiaro.

Siamo quindi destinati ad altri trent’anni di deserto politico, governato da burocrati e uomini d’affari? Non credo. La memoria è viva e le scritte sono ancora sui muri. Gli egiziani abbandoneranno di nuovo il sentiero angusto e stretto del servilismo e della sottomissione. E quel giorno non è troppo lontano.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Ahram Online. Per vedere l’originale clicca qui.

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