A dicembre, nel grande auditorium della fiera del libro di Guadalajara, in Messico, José “Pepe” Mujica ha risposto a qualche domanda. Era strano: il paese ospite della fiera era l’Argentina, ma l’evento principale è stato l’incontro con il presidente dell’Uruguay. Quasi duemila persone – di domenica, alle nove di mattina – sono venute ad ascoltarlo.
Mujica ha parlato del narcotraffico: si direbbe che si stia preparando, ora che il suo mandato volge al termine, a guidare il movimento per la legalizzazione di alcune droghe in America latina. In fin dei conti, è l’unico a poter dire: “Fate come ho fatto io”.
“Non si può tappare il cielo con un ombrello. Se vuoi cambiare non puoi fare sempre la stessa cosa”, ha detto, a dimostrazione che molto spesso la politica ignora l’evidenza. E anche il dubbio.
“Non sappiamo che risultato darà quello che abbiamo fatto. Ma sappiamo che abbiamo puntato sulla repressione per settant’anni e non ha funzionato. Bisogna combattere il pregiudizio conservatore che vuole nascondere le colpe sotto il tappeto. Peggio della droga, che è un veleno, è il narcotraffico, che avvelena lo stato, la società, tutto quanto. Vale la pena di discutere pubblicamente di queste cose. Non voglio che siate d’accordo: vi chiedo di pensarci”.
José Mujica aveva voglia di parlare, con la sua voce impastata. L’intervistatore continuava a chiedergli della sua storia di guerriglia e carcere, e lui ha risposto che gli uruguaiani non l’avevano votato per il suo passato, ma perché si era preoccupato per il cibo, la sanità, le case per i poveri. Ha detto che l’entusiasmo di quell’epoca è ancora vivo, ma in una versione rielaborata:
“Che ingenuità, credevamo nella dittatura del proletariato e ci siamo ritrovati con una burocrazia atroce. Ma non per questo abbiamo cambiato idea. Abbiamo sbagliato per eccesso di idealismo, ma in fondo il fuoco sacro dell’uguaglianza tra gli uomini è ancora possibile. È per quello che bisogna vivere e andare avanti. Questo non significa disinteressarsi del fatto che il lavoratore deve pagare la luce, il cibo, l’istruzione dei figli. Altrimenti saremmo ciarlatani da quattro soldi e non cambieremo un bel nulla, perché la vera forza sta nella massa. Se la massa non si rimbocca le maniche, non c’è uomo geniale che possa cambiare la storia”, ha detto con il suo sguardo da gnomo burlone, da vecchietto nodoso che ha visto di tutto.
L’intervistatore gli ha chiesto cosa pensava di fare dopo la presidenza. “Sono un militante da quando avevo quattordici o quindici anni. Non cambierò certo a questa età. Militerò fino a quando le ossa me lo consentiranno. Non so come, ma so che continuerò, perché per me vivere è militare. Invece fare la personalità in giro per il mondo, fare conferenze, posare negli hotel… In questo non mi ci vedo”, ha detto, rugoso, sorridente, per dimostrare ancora una volta che non c’è miglior critico della politica dei politicanti che un vero uomo politico.
(Traduzione di Francesca Rossetti)
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