Uno dei cliché meno fastidiosi delle teorie sull’autoaiuto, perché in fondo è vero, è che praticamente tutti i problemi psicologici che abbiamo nella vita quotidiana possono essere fatti risalire a un qualche tipo di paura. Rimandiamo le cose perché abbiamo paura di fallire (o a volte di riuscire). Nei rapporti di coppia i conflitti spesso nascono dalla profonda paura di essere abbandonati (o di essere sopraffatti da un legame troppo stretto). Se siamo sempre sovraccarichi di lavoro, o abbiamo la sensazione che approfittino di noi, probabilmente è perché abbiamo paura di rivendicare i nostri diritti. E così via: se andiamo a grattare, sotto la superficie troviamo sempre una paura.
Alla base di tutte queste paure, in genere, c’è il timore di provare certi sentimenti. Come dice lo psicoterapeuta Bruce Tift, la maggior parte di noi è essenzialmente impegnata a “fare in modo di non provare i sentimenti che ci hanno fatto soffrire da bambini”. Secondo questa teoria, per un bambino piccolo, le normali emozioni spesso sono insopportabili, e la sensazione di essere rifiutato è veramente una questione di vita o di morte, perché non può sopravvivere senza le persone che si occupano di lui. Il problema è che ci portiamo dietro questo timore fino all’età adulta e, per esempio, finiamo per rimandare la realizzazione di un progetto, perché sotto sotto siamo convinti che non potremmo sopportare la vergogna di un fallimento.
Il che ci porta, temo, a Donald Trump. E in particolare a Too much and never enough, il libro di sua nipote che è riuscito ad arrivare al pubblico americano all’inizio di luglio nonostante gli sforzi della Casa Bianca per impedirlo. Molte delle sue rivelazioni non sono vere rivelazioni: il despota dai capelli arancioni è effettivamente astioso, lascivo, spietato e disonesto come pensavamo. Ma essendo una psicologa, Mary sa come andare a cercare la paura che è alla base di tutto questo, e la trova nella sua ricerca incessante di approvazione da parte di un “sociopatico” come suo padre, e nel disperato bisogno di evitare quello che stava succedendo al fratello maggiore Freddy, tiranneggiato e disprezzato per tutta la loro infanzia. (È morto alcolizzato e senza più rapporti con la famiglia a 42 anni). Trump, dice la nipote, “non ha mai avuto nessuna opzione se non quella di apparire sicuro di sé, di proiettare un’immagine di forza, per quanto illusoria, perché qualsiasi altra scelta avrebbe comportato una condanna a morte. Non riesce a sfuggire al fatto che è e sarà sempre un bambino terrorizzato”.
È più facile rimanere sani di mente in questi tempi folli se si capisce perché certe persone orribili hanno finito per esserlo
Quest’analisi psicanalitica del presidente dà fastidio a molte persone: ovviamente ai suoi sostenitori, ma anche a quelli che la considerano una distrazione dalla presa di coscienza del fatto che è il sintomo di forze più grandi di lui. Altri temono che possa fargli avere altre simpatie. Il vero motivo per cui interessa me è molto più egoistico. È più facile rimanere sani di mente in questi tempi folli, e forse anche fare qualcosa per migliorare la situazione, se si capisce perché certe persone orribili hanno finito per esserlo. Altrimenti, non ci resta che provare una rabbia impotente davanti a quello che sembra un male inspiegabile, quasi trascendentale (e invincibile).
Ma non lo è. In effetti si tratta solo di un branco di bambini spaventati che cercano di evitare emozioni che non sopportano di provare, e nel frattempo rovinano il mondo. Il Regno Unito è regolarmente governato da ragazzi che sono stati spediti in collegio all’inizio dell’adolescenza, se non addirittura prima. Quale pensate che poteva essere il risultato? Il fatto che sono mossi da paure nascoste non esime i nostri leader dalle loro responsabilità, ma li rende più umani, li riporta a terra. E dopotutto quello è l’unico posto in cui forse saremo in grado di cambiare qualcosa.
Consigli di lettura
Un analista della Cia esplora il rapporto tra un uomo “fondamentalmente narcisista” come Trump e i suoi seguaci in Dangerous charisma, di Jerrold Post e Stephanie Doucette.
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian.
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