Qualche settimana fa la giornalista turca in esilio Ece Temelkuran ha pubblicato un saggio intitolato Come sfasciare un paese in sette mosse, che analizza l’ascesa di un potere populista sempre più autoritario ed elenca segnali d’allarme che ritroviamo anche lontano dalla Turchia. Si comincia con l’autoproclamazione del “vero popolo” e si prosegue con la postverità e il terrore del linguaggio.
Probabilmente Ece Temelkuran dovrà scrivere un seguito alla sua opera e intitolarlo “come recuperare un paese”, dopo che il 23 giugno, a Istanbul, il partito del presidente Recep Tayyip Erdoğan ha subìto una sconfitta cocente. In un paese dove la libertà di stampa è stata decimata e la società civile è costretta a nascondersi, la sconfitta del candidato islamico-conservatore alla poltrona di sindaco di Istanbul (dove ha vinto il candidato dell’opposizione, Ekrem İmamoğlu) è un avvenimento tanto più sorprendente se consideriamo che a marzo il governo aveva contestato un primo risultato sfavorevole.
I limiti del populismo
La perdita di Istanbul, di cui in passato il presidente turco è stato sindaco, potrebbe segnare l’inizio della fine dell’era Erdoğan. Parliamo di una grande metropoli che da sola rappresenta un terzo del pil del paese e che ora evidenzia la debolezza di un potere populista considerato intoccabile. Dopo le elezioni comunali di marzo, l’opposizione controlla cinque delle sei città più grandi della Turchia. È nelle metropoli che i populisti vanno a sbattere contro i loro limiti.
La stessa situazione si ripresenta in molti paesi alle prese con l’ascesa del populismo, dove le grandi città costituiscono un bastione di resistenza.
Le idee liberali rinascono nelle grandi città, spesso a seguito di un episodio scatenante
L’anno scorso, in occasione delle elezioni regionali in Baviera, tutti tenevano d’occhio il partito xenofobo e antimigranti Alternativa per la Germania (Afd), ma sono stati i Verdi ad aver ottenuto un risultato sorprendente diventando il primo partito nelle grandi città di una regione considerata generalmente conservatrice. Questo non ha impedito all’Afd di sfondare nella Germania orientale in autunno, confermando che è nelle regioni emarginate che questi partiti trionfano.
Lo stesso discorso vale per l’Europa centrale e orientale. Le idee liberali rinascono nelle grandi città, spesso a seguito di un episodio scatenante. A Danzica l’uccisione del sindaco, a gennaio, ha provocato un sussulto della popolazione, mentre nel fine settimana, a Praga, una marea umana ha chiesto le dimissioni del primo ministro populista travolto dalle accuse di frode dopo un’inchiesta europea.
L’ondata populista non è ineluttabile, come dimostra una serie di esempi in società molto diverse tra loro.
Inoltre è evidente che il problema è legato più che altro al discredito delle élite di governo, all’inefficacia, al distacco e forse ai sospetti di corruzione che le circondano e che provocano un’ascesa del populismo. Le grandi città, più globalizzate e politicizzate, sono anche più pronte a ribellarsi quando, come nel caso della Turchia, le sirene populiste non rispondono più alla realtà di un’economia in crisi.
La risposta politica nata dalle città può creare un’estrema polarizzazione rispetto al resto del paese o evolversi verso un nuovo consenso nazionale. È la posta in gioco del cambiamento politico in corso, in Turchia e altrove.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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