Sta per diventare la più grande catastrofe umanitaria del conflitto siriano, un conflitto che purtroppo, negli ultimi nove anni, di catastrofi ne ha vissute tante. Oltre 250mila civili sono scappati davanti all’avanzata delle truppe del regime di Bashar al Assad, che con l’appoggio dei russi cercano di riconquistare l’enclave di Idlib, nel nordest del paese.

I profughi vivono nell’indigenza più completa, nel mezzo di un gelido inverno. In Turchia, dove nel corso degli anni sono arrivati più di quattro milioni di disperati, i campi sono pieni. I bombardamenti non risparmiano le strutture mediche. A più riprese la Russia è stata accusata di aver deliberatamente colpito ospedali e cliniche.

L’azione umanitaria internazionale è estremamente difficile. Qualche giorno fa un medico francese che lavora in Siria da anni, il dottor Raphaël Pitti, è venuto nella redazione di France Inter per lanciare un allarme, purtroppo caduto nel vuoto. La settimana scorsa Russia e Cina hanno posto il veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu, per la quattordicesima volta, bloccando una risoluzione sulla Siria che avrebbe permesso di far arrivare aiuti transfrontalieri ai civili di Idlib.

Idlib è l’ultima sacca ribelle in Siria, ma è anche la casa di tre milioni di civili, di cui molti arrivati in fuga da altre zone di guerra. Ogni volta che c’è stata una battaglia decisiva, come ad Aleppo, i ribelli accerchiati hanno dovuto scegliere: arrendersi o rifugiarsi a Idlib. Oggi è qui che si concentrano gli sforzi di Assad e dei suoi alleati russi.

La situazione è estremamente complessa. Prima di tutto ci sono gli attori siriani, i jihadisti del gruppo Hayam Tahrir al Sham, che hanno vinto la battaglia con le altre fazioni ribelli per il controllo del territorio. Poi c’è la Turchia, che mantiene una serie di postazioni fortificate all’interno del territorio siriano, in una posizione delicata perché sul cammino della riconquista di Assad.

In Siria, come in Libia, i conflitti sono il terreno su cui si giocano i nuovi rapporti di forza di un’epoca che faremmo bene a chiamare “post occidentale”. In questa regione la Russia ha fatto il suo grande ritorno politico-militare nel 2014, approfittando della decisione di Barack Obama di non intervenire. Ora la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan manifesta la sua ambizione su tutti i fronti dell’ex impero ottomano.

Il silenzio occidentale è assordante, in particolare quello di un’Europa che assiste all’esplosione di crisi gravissime poco lontano dalle sue frontiere e che inevitabilmente, come già accaduto nel 2015, dovrà subirne pesanti conseguenze.

Questo silenzio lascia campo libero a potenze senza scrupoli, slegate da qualsiasi regola di governo internazionale. Turchi e russi hanno negoziato parecchio a proposito di Idlib, ma oggi si ritrovano su schieramenti opposti, esattamente come accade nella guerra civile libica. In entrambi i casi è evidente che la sorte dei civili non è la loro priorità. Questo è ciò che succede quando il mondo torna alla legge del più forte.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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