Possiamo ancora avere fiducia nell’Europa? Porsi la domanda significa già prendere atto che l’Unione europea (e non è la prima volta) non è stata all’altezza della crisi sanitaria che stiamo attraversando. Questa opinione è condivisa da molti europei, come mostrano diversi sondaggi soprattutto in Italia, il primo e il più colpito tra i paesi del continente insieme alla Spagna.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha compiuto un gesto insolito presentando agli italiani le scuse dell’Europa e ammettendo che l’Ue non è stata abbastanza solidale quando l’Italia del nord è stata travolta dal virus.

Da quella fase iniziale sono cambiate molte cose. Oggi il problema si pone in termini diversi, anche se la percezione dell’opinione pubblica resta quella di un’assenza o comunque di un’inefficacia dell’Europa nella gestione dell’emergenza: a cosa serve fare parte di un club che non è mai presente quando se ne ha bisogno?

Scudo comune
È il grande paradosso di questo momento senza precedenti: alla crisi sanitaria, infatti, si è aggiunta una crisi economica di portata storica, e questo ha permesso all’Europa di usare lo scudo comune senza che i cittadini europei se ne accorgessero.

L’aiuto non è arrivato sotto forma di respiratori (che ancora scarseggiano negli ospedali) ma di centinaia di miliardi di euro che permettono agli europei di fronteggiare l’arresto delle loro economie senza affondare. L’Europa, insomma, ha potuto usare la più imponente rete di salvataggio al mondo, gestita dalla Banca centrale europea in nome dei popoli del vecchio continente.

L’Europa ci sta permettendo di fronteggiare la crisi del secolo, anche se non ce ne accorgiamo

Eppure l’immagine dominante in questa crisi è quella della divisione degli europei. Non è un’immagine falsa, ma non racconta tutta la storia. Il consiglio europeo, in effetti, è diviso sulla questione-chiave, quella della condivisione del debito per finanziare il rilancio delle nostre economie dopo il trauma.

A questo punto resta da capire se l’Unione agirà come in passato, permettendo a ogni stato di indebitarsi in base alle proprie condizioni economiche e accentuando così le divisioni interne all’eurozona, o se invece affronterà l’emergenza in modo compatto, aiutando le regioni e i settori più colpiti per il bene comune, anche perché tutti gli stati europei esportano in larga parte all’interno del continente.

Inizialmente le discussioni sono state molto animate, ma in seguito i toni si sono ammorbiditi e ora si va verso una formula di compromesso che sarà basata soprattutto su un’intesa tra Francia e Germania. L’Europa, diceva Jacques Delors, è una macchina che genera compromessi. E per i compromessi ci vuole tempo. Ma stavolta la posta in gioco è vitale: chi può assumersi la responsabilità di un fallimento?

L’intesa europea alla fine salverà la faccia. Non si parlerà sicuramente di “coronabond” (gli olandesi non lo accetterebbero) e l’indebitamento passerà probabilmente attraverso il bilancio comunitario. Ma resta il fatto che serve un risultato importante, per fare in modo che i cittadini abbiano la percezione di un’Europa davvero solidale.

Non ci siamo ancora arrivati, ma è troppo presto per perdere la fiducia in un’Europa che ci sta permettendo di fronteggiare la crisi del secolo, anche se non ce ne accorgiamo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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